Agli amici archeologi

Cari amici, anche alla lontana, torno per l’ennesima volta sulle questione dei paradigmi. Capisco che ammiccare continuamente a Kuhn, ai suoi follower e ai suoi prequeler, non è sufficiente, e non sarà mai abbastanza, per quanto mi sgoli, non servirà a farvi sentire delle voci che viaggiano fuori dalla gamma per la quale le vostre orecchie sono tarate. Ma devo attirare la vostra attenzione e contaminare il margine della vostra portata epistemologica.

Vi chiedo di studiare Kuhn, capire che cosa significhi attraversare una “rivoluzione scientifica” nel 1963 circa. Poi capire la densità del concetto di Crisi delle Scienze come formulato da Husserl alla fine degli anni ’20 del ‘900.

In seguito potremmo trovare altri vocabolari. Teorie dei contesti, giochi linguistici wittgensteiniani, stili nietzscheani, forme di vita. Insomma grumi, addensamenti, comunità di asserviti per principio di hakeniana memoria…

Ve lo chiedo perché si colmino queste voragini che danno vita a dei punti ciechi nello sguardo d’insieme sul contenuto del mio messaggio, dell’individuazione in process del nucleo del mio pensiero.

Questo perché fin dal principio tutto questo non è che una grossa lettera indirizzata agli amici archeologi, anche alla lontana, e per conoscenza agli antichi e ai posteri.

Venturi non immemor aevi. Giusto?

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