Il Trentesimo secolo

Siamo entrati nel trentesimo secolo. Non una semplice eclissi di sole. Un buio pesto in pieno giorno ha coperto l’umanità. Odio e vendette che lasciano strascichi di sangue dietro di essi. Bombe vere e figurate, sparatorie a pallottole e a parole. Siamo dentro al trentesimo secolo. Il degenerato è il genus. Il malvagio è il verbo. Lo strazio è l’armonia. Le sfere stridono.

Mani pulite, troppo pulite

Tra noi vecchi amici del Corso di Laurea in Filosofia di Pisa, ridonda da decenni l’annosa Questione degli Intellettuali. Documentatevi da soli nel panorama francese se volete saperne di più.

Da tempo rifletto con occhi diversi sull’intellettualismo francese. Intanto, non c’è una vera cultura italiana, nonostante ci siano ancora dei buoni filosofi o umanisti che si ostinano a scrivere in questa lingua quasi estinta. Poi, per quanto riguarda più prettamente la Francia, il problema è tutt’altro. La tradizione è talmente forte da resistere all’inondazione anglofona, ma forse troppo. Così forte da imbrodarsi delle sue stesse proprie lodi.

Gli intellettuali francesi sono sempre più snob. Papà figli di papà che non hanno mai avuto le unghie nere di terra, che non sanno nemmeno che odore e consistenza abbia la terra.

Parlano impettiti ed intoccabili, peggio di vecchi pariolini, bianchi candidi e brillanti. Sempre vigili e pacati, mai scomposti né sudati. Gente che sembra non aver mai vissuto davvero. Gente che sembra sotto formaldeide, che vista in tv – dove non si sentono gli odori – sembra costantemente puzzare di Saint-Laurent o il migliore degli Chanel.

Pontificano sulla rabbia, la miseria, la disperazione e l’alienazione, avendone sempre e solo un’idea cartacea, da topi da biblioteca. Non hanno neanche le cicatrici dichi da piccolo è cascato da un albero o di bicicletta.

D’altro canto – i plebei studiati – non possono mai competere, a meno che non siano dei geni assoluti nati in Cechia o in Serbia e che hanno visto le bombe cadere sulle proprie case.

QUANDO IL SOLE…

Quando il sole illumina Campobagnolo e la valle della Soda lasciando al buio già il Lavacchio

Allora capisco che sono due colori differenti totalmente quelli che pochi minuti fa erano gli stessi verdi

E tutto è relativo come la terra che gira intorno al sole che gira attorno a chissà cos’altro

Come i tuoi sorrisi che non sono mai gli stessi e mai le stesse maschere di qualcosa che senti e non vuoi mostrare e nemmeno tu vuoi vedere

Quando il sole illumina Campobagnolo e al Lavacchio già si è fatta sera come in questa casa con la sua storia di guerra fredda

Sui muri graffite parole sono state cancellate ma si riescono ancora a leggere per gli sguardi di chi le ha vissute

E sotto degli scarabocchi scorgo PROGRESSO e LIBERTÀ e COMUNISMO che sembrano ossa scomposte di vecchi cadaveri sepolti male

Mentre a te non fanno ne piangere ne ridere e nulla sembrano riuscire a dirti io m’inginocchio sul marciapiede e rido mentre i miei occhi straripano di lacrime e nel petto sento come una spada trapassarmi

Tanto che quando abbasso la testa e guardo per terra e non vedo una pozza di sangue credo che sia stato tutto un sogno e forse il sogno di qualcuno che non sono nemmeno io

[A. M. 21/03/24]

Ancora su ai-ta-re-u-si = τοῖς ᾱ̓ιθαλιταῖς

Source: Courtesy of the Palace of Nestor Excavations, Department of Classics, University of Cincinnati. From #mnamon by Scuola Normale Superiore di Pisa.

Transliteration

.1 o-u-ru-to , o-pi-a2-ra , e-pi-ko-wo ,
.2 ma-re-wo , o-ka , o-wi-to-no ,
.3 a-pe-ri-ta-wo , o-re-ta , e-te-wa , ko-ki-jo ,
.4 su-we-ro-wi-jo , o-wi-ti-ni-jo , o-ka-ra3 VIR 50
.5 vacat
.6 ne-da-wa-ta-o , o-ka , e-ke-me-de ,
.7 a-pi-je-ta , ma-ra-te-u , ta-ni-ko ,
.8 a2-ru-wo-te , ke-ki-de , ku-pa-ri-si-jo VIR 20
.9 vacat
.10 a3-ta-re-u-si , ku-pa-ri-si-jo , ke-ki-de VIR 10
.11 me-ta-qe , pe-i , e-qe-ta , ke-ki-jo ,
12 a-e-ri-qo-ta , e-ra-po , ri-me-ne ,
.a o-wi-
.13 o-ka-ra , -to-no VIR 30 ke-ki-de-qe , a-pu2-ka-ne ,
.14. VIR 20 me-ta-qe , pe-i , a3-ko-ta , e-qe-ta ,
.15 vacat

Greek interpretation

.1 hōs wruntoi opihala epikowoi

.2 Mālēwos orkhā O-wi-tnōi

.3 Ampelitāwōn, Orestās, Etewās, Gorgiōn,

.4 Su-we-ro-wios, O-wi-tnioi O-ka-rai VIR 50

.5 vacat

.6 Nedwātāo orkhā Ekhemēdēs,

.7 Amphietās, Malantheus, Ta-ni-kos,

.8 Halwontei Ke-ki-des Kuparissioi VIR 20

.9 vacat

.10 Aithaleusi Kuparissioi Ke-ki-des VIR 10

.11 meta kwe spheihi hekwetās Kerkios

.12 Aerikhwoitās Elaphōn Limenei

.13 O-ka-rai O-wi-tnōi VIR 30 Ke-ki-des kwe A-pu2-kānes

.14. VIR 20 meta kwe spheihi Aigotās hekwetās

.15 vacat

Traduzione

.1 Ecco come le guardie difendono le zone costiere.
.2 Il comando di Māleus in O-wi-tnos:
.3 Ampelitāwōn, Orestās, Etewās, Gorgiōn,
.4 Su-we-ro-wios, 50 uomini “O-ka-rai” di O-wi-tnos (ai loro ordini);
.5
.6 Il comando di Nedwātās: Ekhemēdēs,
.7 Amphietās, Malantheus, Ta-ni-kos,
.8 in mezzo 20 uomini “Ke-ki-des” di Kuparissos (ai loro ordini);
.9
.10 ad Aithalēwes 10 uomini “Ke-ki-des” di Kuparissos (ai loro ordini);
.11 e con loro (c’è) il figlio di Kerkis come ufficiale
.12 Aerikhwoitas; nel porto dei cervi
.13 30 uomini “O-ka-rai” di O-wi-tnos e 20 uomini “Ke-ki-des A-pu2-kānes”
.14. (sono ai loro ordini) e con loro (c’è) l’ufficiale Aigotās.

Il primo dei cosiddetti tablet “o-ka” o “guardia costiera”. È opinione comune che il documento registrasse l’organizzazione di contingenti militari a difesa delle coste del regno di Pilo in Messenia.

Nota: esistono anche altre interpretazioni per alcuni antroponimi e toponimi. Nei casi in cui non esistono interpretazioni soddisfacenti, la traslitterazione viene semplicemente ripetuta con la sola aggiunta delle desinenze più probabili. I termini che descrivono i soldati sono racchiusi tra virgolette perché non è chiaro se si tratti di aggettivi riferiti a origini etniche, appellativi o altro. Per wruntoi, cfr. rhuomai greco; per opihala, tromba; per epikowoi, composti come purkoos; per orkha, arkhe.

Cfr.

https://www.researchgate.net/publication/334174067_AITAREIA

https://www.academia.edu/102747262/AITAREIA_Many_names_for_many_islands

MI(S)TICI PELASGI

A questo punto mi chiedo come si possa parlare spudoramente di minoici, come se si trattasse veramente di un popolo, senza che nessuno storca il naso. Parlare di pelasgi, popolo ampiamente attestato in lungo e largo in tutta la letteratura greca di ogni genere, è tacitamente sconsigliato, a patto, – almeno cosí sembrano suggerire le ricorrenze nei testi italiani contemporanei, – di porvi davanti un bel (e dico: “bel”) “mitici”.

Sí, proprio “mitici”, come il mitico Ulisse, il mitico Adriano, il mitico Pelé. Cioé, personaggi che definiamo “mitici” per esaltare la loro storica grandezza.

Ma in un libro di storia, filosofia o archeologia, questo humour va chiarito bene, altrimenti il lettore finisce per pensare che chi scrive non sappia nulla né del fatto che i minoici sono un termine coniato da Arthur Evans intorno al 1903, a causa del suo ignorare a quale popolo (eteocretesi o pelasgi, o ecc.) attribuire il linguaggio lineare a.
Mentre i pelasgi sono un etnonimo ampiamente attestato in greco (ΠΕΛΑΣΓΌΙ), tutt’altro che “mitico” (qualunque cosa ‘mitico’ qui desideri significare), oltre che forse attestabile in un termine del lineare b miceneo (nota 1), in egizio (pwrꜣsꜣtj), accadico (𒆳𒉿𒇷𒄑𒋫 :Pilistu) e 𒆳𒉺𒆷𒀾𒋫 :Palastu), ebraico (פְּלֶשֶׁת‎ :Pəléšet e Philistia), etrusco (Feleskenas) che a sua volta richiama i latini ‘Faliscus’ e
‘Falerii’ (da cippo dell’agro senese, ET AS 1.40) e Palestrina.

Mitici, in quanto creati ad hoc proprio a partire dal mito del Re Minosse, sono semmai i cosiddetti “minoici”. Per i pelasgi, se proprio vogliamo ironicamente sprecare un aggettivo, diremmo “mistici”, col sorriso sulle labbra.

nota lineare b:

  1. pe-ra-ko [ TH Fq (2) 257.4 (305)], pe-re-ke-u [PY Cn 1287.5 (H 31)], pe-re-ke-we [PY Ae 574 (Cii); 765 (H 1); TH Oh 208.1; MY Oe 130 (56)], pe-re-ko [KN Ag 88 (“124″a) e KN Xe 544.a (103)], pe-re-ku [PY Va 15.2] e pe-re-ku-ta [PY An 172.2 (S172-H 1) ].

Ist das wieder so ‘ne phase

È di nuovo una fase di quelle
IST DAS WIEDER SO ‘NE PHASE
(canzone dei Die Lassie Singer, trad. dal tedesco)


La mia stanza nel cosmo,
la poltrona la terra,
il televisore il sole,
sognare ad occhi aperti senza sosta.

Sono così stanca,
sbadiglio via la vita,
a rallentatore,
odio sta cosa eppure non importa.

Come sulle nuvole,
come nel cotone,
come nel corpo,
pigrizia primitiva.

Voglio uscire
ma non proprio,
la vita fuori
non è così importante,
non è così importante.

È di nuovo una fase di quelle o resterà così per sempre,
ferma così?
Mi alzerò mai più in questa vita,
mi vestirò ancora e uscirò per strada?

Telecomando,
mangiando cose,
guardando il soffitto,
e sempre sempre di nuovo a letto.

Una vita sdraiata,
in vaga esistenza,
vegetando,
debolmente in modo patologico (?)

Un frigorifero che ronza,
girando attorno,
poi silenzio,
non si può fare nulla, è solo così.

Voglio uscire
ma non proprio,
la vita fuori
non è così importante,
non è così importante.

È di nuovo una fase di quelle o resterà così per sempre,
ferma così?
Mi alzerò mai più in questa vita,
mi vestirò ancora e uscirò per strada?



https://youtu.be/DbmjAAymZM0?si=VnrscplcwdcW7q_X

https://open.spotify.com/track/3Xu7GRj6QLXZa08pyUAYQI?si=a2_hM7QTQsG7iLmj-iL7JA

CHI ERANO GLI SHERDEN?




Ogni qual volta ci s’imbatte in un articolo sulla Sardegna preistorica si sentono volare paroloni di incredulità di fronte agli innumerevoli capolavori che quella civiltà ha lasciato e che sembrano non conoscere l’obsolescenza. Parallelamente a questo la narrazione sembra svuotata da ogni identità culturale e contestualizzazione storica. Queste genti vengono circoscritte al loro territorio e tra le righe passa il messaggio che vivessero come immersi in un limbo separato dal mondo. Gli occhi dell’archeologo sembrano costretti, dalla geografia e dalla originalità degli stili architettonici e scultorei, a considerare questi popoli come “isolati” dal mondo. Le loro strettissime relazioni con la Corsica, l’Arcipelago Toscano e la costa italica, e con la penisola iberica e la costa francese, con il Maghreb, l’Egitto, la Palestina e soprattutto la Siria marittima, oltre all’Anatolia e Creta, sembrano non interessare gli studiosi, tranne Ugas, Lo Schiavo, Sabadini, Fundoni, Putzu, – nel potentato accademico internazionale sembra vigere una damnatio memoriae, come se la grandeur degli Sherden potesse compromettere quella della Grecia e di Roma.

Il main stream accademico si apre alla Sardegna nuragica? – mi chiedo stupefatto guardando la copertina di Archeologia Viva, interamente dedicata al magnifico Pozzo Sacro di Perfugas.
Pozzo Sacro, e non sacro pozzo, come nel titolo troppo creativo dell’articolo, che nel sottotitolo sottolinea l’attributo di religioso per l’antico mondo sardo, che a me suona un po’ come il blu per cielo o il bagnata per l’acqua. La stupefacente immagine della costruzione con le sue pietre perfette e un’architettura impressionante di fine Secondo Millennio avanti Cristo, viene definito più avanti solo come “uno dei più raffinati monumenti dell’architettura sacra nuragica” invece che “uno dei più originali capolavori dell’Età del Bronzo a livello mondiale”.
L’autore scrive nell’articolo che “si è sorpresi” dalla incomparabile maestria del lavoro, facendo un’ammissione di colpa, come a voler dire che noi non siamo in grado di riconoscere la grandezza di quella civiltà e quindi ci sorprende che degli uomini preistorici in Sardegna potessero realizzare delle strutture senza eguali.
Anche l’accuratezza “d’intaglio” viene descritta come incredibile, insomma o non ci si può o non ci si vuole credere, eppure è proprio lì davanti ai nostri occhi, a dirci che nella sua normalità essa rappresenta una cultura altrettanto ricca e un sistema di conoscenze avanzatissimo per la sua epoca.

Gli Sherden non sono solo un popolo isolato, ma hanno avuto un impatto significativo sulla storia e sulla cultura del Mediterraneo antico. È fondamentale continuare a studiare e apprezzare la loro eredità per comprendere appieno la complessità e la diversità delle civiltà preistoriche e la loro influenza sulle grandi civiltà del Ferro.

L’articolo di Archeologia Viva 224/2024 sul Pozzo Sacro di Perfugas