Un istante delle ore meridiane di un giorno di fine novembre di ventiquattro anni fa.
Angelo era appena uscito da casa di suo cugino Antonio. Il cielo era tremendamente azzurro e con grossi nuvoloni bianchi abbaglianti per la luce del sole che densamente riflettevano.
Guardó in alto e poi il cielo lontano in giro completo sopra tutto l’orizzonte. Non aveva mai visto un cielo cosí grande. Nel Queensland tutto era afflitto dall’enormità, perfino le formiche.
L’enormità è quando la stessa identica cosa si manifesta in maniera smisurata rispetto al canone che per essa avevamo stabilito.
Di fronte all’evento della sproporzione Angelo provó tutta l’intensità della umana condizione di finitezza nell’esperienza di uno stato emotivo ancestrale. La meraviglia lo riempí di sé.
Delicate sono le dinamiche delle emozioni. Delicata la gestione delle loro transazioni. Tutto è cosí complesso che certi fenomeni superano il bordo della comfort zone straripando fuori dalla sicurezza. Paradossalmente sono proprio le regole scritte per salvarci le responsabili delle nostre inondazioni emotive.
Il canone è l’unica risorsa che abbiamo di fronte al mondo. Esso è la rete epistemologica grazie alla quale esistiamo. La nostra stessa essenza, non si riduce mai a pura ontologia ma implica già da sempre questo vincolo cognitivo.
Angelo poteva solo darsi delle regole sulle quali costruire la propria visione del mondo. Eppure quelle stesse regole fondamentali sarebbero dovute essere costitutivamente flessibili al punto di saper rinunciare a se stesse quando la fenomenologia non corrisponde loro. Un cielo troppo grande per essere vero.
Angelo capí che la virtù non stava nella robustezza delle proprie regole ma piuttosto nella capacità di sapervi rinunciare continuamente. La realtà le eccede sempre di nuovo. Serve una prima regola: le regole sono eccezionali, le eccezioni sono regolari.
Come difendersi dall’effluvio che ci sovrasta se la meraviglia è troppa per la forza delle nostre emozioni?
Angelo imparó la rinuncia preventiva. A volte bisogna saper rimunciare alle emozioni, quando queste sono visibilmente troppo grandi per l’ingegneria gestionale della nostra persona.
Cosí, quando la ragazza per la quale ci si è presi u a cotta sta passando sotto casa, invece di correrle incontro per dichiararle la propria passione, ci si chiude in silenzio dentro casa abbassando il volume della radio, o alzandolo a palla, che poi è la stessa cosa.

Un gorano. Il gorano è il pesce latterino (Atherina) in gergo marinaresco elbano (fig. 1). Con il termine si indica anche nel gergo locale una persona priva di sentimenti, uno chiuso-in o centrato-su se stesso, che in fondo in fondo non gliene frega niente di nessuno, non si prende cura delle amicizie.
In certi casi il “gorano” potrebbe essere peró un soggetto opposto, ovvero una persona ipersensensibile, troppo esposta agli effetti collaterali delle emozioni forti. Cosí, per la cultura popolare, apparirebbero come tutt’uno due personalità estremamente in opposizione. Da un lato quello che è totalmente privo di sentimenti, quindi con una sfera emotiva inferiore a quella del tuo animale domestico. Dall’altro lato quello cosí ipersensibile da essere costretto a chiudere le porte dell’anima perché essa non venga devastata dalla superficialità, l’ignoranza, la maleducazione e la mancanza di rispetto. Agli occhi del “enantiogorano”, o nel cuore dell’iperemotivo, che dir vogliate, le persone comuni e la norma emotiva della maggioranza, comparate al suo proprio canone, appaiono come deficitarie e pericolose.

Angelo non è un gorano. Ha solo criteri diversi di conoscere e giudicare il mondo. Non è un insensibile, ma uno talmente sensibile ed empatico che a volte scappa da chi gli manifesta affetto/disprezzo, perché l’emozione potrebbe essergli letale.
Non s’era mai visto un cielo cosí grande. Pensó tra sé e sé in quel meriggio australe di ventiquattro anni or sono.