Lasciati scrivere, parola che mi disorienti, mettendomi in corsa attorno al sole, a rincorrere l’irraggiungibile. Questo attingo quando io stesso lascio che il pensiero mi attraversi e mi usi per fartisi sua – parola – mio malgrado.
Laggiù mi trovo. Aggrappato a te con le braccia allungate come quello dei Fantastici Quattro. Non mi strappo perché i miei piedi non poggiano su nulla – e in esso sguazzano. Se ne sente solo l’odore ma non li si riesce a vedere.
Intanto la luna piena esercita la sua forza. Su di me ancor più grave spinge il fardello di una geoempatia che mi piega le spalle, mi corruga la pelle. C’è chi dice vecchio. Questo sei. La conseguenza di te stesso, un imbroglio di nulla.
La mia trama assente è un’ombra totale che si distingue per il suo differire dalle cose che le stanno a destra, a sinistra, davanti e dietro. Non il punto nero vediamo, ma la rosea pelle attorno che riflette il fuoco dei soli – astrali, astratti.
Pensare – inteso proprio come il Denken im das wir gelagen wenn wir denken, und dass wir verstehen können nur als eine Droge. Anche detto così, in un tedesco approssimativo, per rimarcare la distanza tra i miei piedi e le parole che scrivo.
Sospesi nel vuoto, attratti al centro. Io che preferisco la terra al mare. Io che non so volare.