IL MISTERO DELLA CERAMICA IMPRESSA
DEL NEOLITICO
Le giornate da addetto al museo con mansioni di apertura, biglietteria e pulizie, possono essere gradevolissime, credetemi.
Oggi ho con me pochi libri cartacei, ma il tablet con altri ebook, il quaderno degli appunti e il cellulare in tethering. È un pomeriggio di stanca. Studio in multitasking la cultura Ozieri, il nome (forse) etrusco di una città spagnola, la geografia di Claudio Ptolemeo e saggi di varia natura. Non ci sono visite, tutto tace, forse perché il sabato c’è il cambio, come dicono gli albergatori.
Faccio un piccolo giro d’ispezione. Piccole verifiche, controllare insetti, polvere, soprattutto i faretti delle vetrine, che ogni settimana se ne fulmina uno. Dev’esserci un problema nell’impianto. Guardo disilluso quella toppa di cemento sulla parete che non è mai stata riverniciata, e una specie di presa di corrente senza coperchio.
Poi mi fermo ad osservare le pietruzze del paleolitico (?) e accanto il vuoto angosciante di una preziosa ceramica che non ricordo se è sparita da quando lavoro qui o se già mancava. Chissà dov’è. Non mi è dato sapere. In fondo a tutte le gerarchie, il bigliettaio del museo non può farci niente. Egli non ha nemmeno le chiavi per aprire le vetrine e pulire. Per sua fortuna, non è responsabile di nulla che manchi o che sia polveroso. Il bigliettaio deve solo fare i biglietti e tacere.
Il numero 5 del ripiano 1 della vetrina 1 in sala 1 è scomparso. Forse è al sicuro altrove. A chi glielo domanda, il bigliettaio risponde “non lo so”.
Questi giorni in genere sono bellissimi. Mi gratifica tanto spiegare ogni reperto ai visitatori, in inglese, in francese, in tedesco e a volte persino in italiano. Le loro facce attente mi ricordano quelle dei miei studenti d’italiano alla scuola di Pontevecchio a Firenze. La loro gioia è perfettamente percepibile. Dopo mezz’ora di chiacchiere mi capita di chiedere scusa per essermi prolungato troppo. E spesso mi sento dire: “Io ci starei le ore qui ad ascoltarla, Direttore”. Mi affretto subito a rettificare “Ma quale direttore, io sono solo il ticketman”. Mi sorridono e intanto pensano che li sto prendendo in giro.
Le soddisfazioni maggiori però me le danno qyelli che arrivano già molto preparati, sull’Elba e sulle Antichità in genere. L’altro giorno ho insegnato a memoria a una sedicenne tedesca la formula di santificazione di Cerbonius Affricanus in latino, dato che stava andando a fare un campus a Frascati al Vivarium Novum. Oppure ho spiegato la differenza tra le emme e le enne nella grafia etrusca settentrionale e meridionale. La gente “da museo” si entusiasma a vedere uno che a mente scrive cose in etrusco, in greco o in latino. Sono felici, lo vedo, e me lo dicono. Questo è quello che conta davvero. La “passione”. Più di ogni preparazione, persino un immensa cultura senza passione non passa. Ai visitatori del mio museo piace la mia teatralità. E io, da buon uomo di spettacolo, senza alcuna vergogna, offro lezioni di lingue vive e morte, di storie archeoligiche, epiche e mitoligiche, come un prof universitario. E non sono nemmeno laureato. Ma sono felice qui.I ❤️ MUARMAR