Il sole era sempre troppo lontano, abbastanza da essere intuito, ma non da esser visto.L’Enfola era una piramide naturale che emergeva dal mare come l’isola di un lago, le acque piatte in certi giorni come questo. Non si è connessi se non si è veloci. Rapidi al limite dell’istantaneo, quasi attaccati, prossimi nell’essere a tutto remoti. Oramai il cielo non era più un colore disteso, ma un crogiuolo di forme in movimento. Corazzate di nubi montate intrecciate a cirri, grigie come il piombo o bianche come il latte, navigavano l’aere disegnando differenze, potenziali di senso. Un fulmine porta la luce di un lampo nella notte, e si porta via la luce dell’uomo e dei suoi cavi. Black out, lock down, post, what’s up. Locuzioni imperiali dominano le terre desolate, ma barlumi di gioia di vivere restano accesi su piccole eremitiche esistenze di campagna.Il silenzio è interrotto da canti sibilanti di volatili allegri e il vento che si alza furente a sbattacchiare i rami delle acacie uno contro l’altro. Soffiano le valli come gridolini lontani, richieste d’aiuto che arrivano incomprensibili da luoghi irraggiungibili, come a mostrare all’orecchio in uno specchio di suoni l’immensità della sua impotenza. Niente è sotto controllo, tanto che raccogliendo tutti i dati che riguardano la vita di un individuo pur sempre resterà ignota a chiunque la dimensione della sua anima. Inafferrabile la totalità conserva per sé la qualità dello spirito. A noi non resta che lasciarci vivere. Lasciarci pensare, lasciarci essere pensati. Lasciare che il pensiero pensi in noi.