Juri ha le gambe spezzate

Dimitri aveva le gambe spezzate. La neve cadeva ancora, come se non bastasse. Sua madre inerte, suo padre, troppo impegnato a spalare e sudare. Juri lo guardava come si guarda una biscia che ti sgattaiola tra i piedi. Natalia prendeva l’acqua al pozzo. Il rumore degli aerei era ormai lontano. Io, si, proprio io, gli presi la mano. Gli dissi che il tempo lo avrebbe aiutato, lo spazio gli sarebbe stato amico, e noi avremmo fatto per lui tutto quello che avremmo potuto. Eh, ma non si ripara così una vita. Una gamba, due gambe, ma una vita…

Sì, c’era tanto dolore. La distruzione, la paura, le gambe spezzate; e ora c’era anche la fame. Ma non c’era la meschineria.
La primavera non portò solo fiori e profumi, volle in cambio tutti i loro sorrisi. Le giornate erano più lunghe e più vasta si faceva la disperazione. Sempre lì, illuminata dal sole, ci ricordava che la speranza era caduta nella tenebra. Juri spaccava la legna, senza rabbia, non pensava a un uomo sotto la sua ascia. Natalia non sapeva più ridere, non sapeva più piangere. Ma quello che non potrò mai dimenticare di loro, nel bel mezzo della fine, è la dignità che li teneva in vita dritti e fieri di se stessi. Quanta gente meschina fatta di piccoli disprezzi e pillole d’odio attorno a loro! Ebbi la prova che alcune persone sono geneticamente inattaccabili da certi virus, e che il cromosoma della dignità sviluppa un potentissimo anticorpo – il rispetto. Dove ancora resiste il rispetto non vince la piccolezza. Dove l’anima è forte e pura scorrono via le meschinerie.

L’umiliazione si trova a mezza altezza. Sta tra la gola e il ventre. Mentre il senso della vita pareva indirizzato, le notti più corte e il freddo meno pungente, Natalia correva sui prati verdi e cadeva. Correva e cadeva, e noi tutti ridevamo. Si rialzava, correva e cadeva, noi ridevamo e lasciavamo che i nostri pezzi di corpo si esprimessero da soli. I nostri stomaci, le nostre gole. I nostri petti, i nostri arti. Tutto seguiva un moto circolare. Guardavamo Natalia correre con tensione e aspettativa. Poi la guardavamo cadere con allegria del ridicolo. Spogli come veri amici. Senza difese né barriere. Un raggio di sole disegnava più grande sul prato la grande quercia allo specchio. Dimitri rideva sommesso. Seduto sulla sua poltroncina a rotelle, alternava un gemito di dolore per le sue gambe al contagio delle nostre risate. Poi Ivan disse che tutti avremmo dovuto correre e cadere. Dimitri si chiuse sul suo dolore, non rise. Il contagio non avvenne, anzi si capovolse. Tutti fummo turbati. L’empatia ci abbracciò, più scuri dell’ombra della quercia. L’umiliazione spesso avviene a caso. L’umiliazione spesso nasce da parole che sono di nessuno. Si, c’è uno che le dice, ma non le dice per umiliare. Il silenzio straripa dall’insieme dei rumori, quando qualcuno viene umiliato. E quel crampo allo stomaco lo sentiamo tutti. Sono i momenti più belli del dolore. Neanche una risata sa dare quello che può il dolore se condiviso.

La nebbia attraversava gli alberi incrociando i fumi delle fiamme. Il bosco dei nostri giochi d’infanzia, la casa della natura. Natalia una volta cadde da uno di quegli alberi, forse una quercia, o un grande leccio. Juri e Dimitri avevano costruito una piattaforma di legno con delle tavolacce e lassù tenevano nascoste due sigarette rinsecchite dall’aria e una stropicciata rivista pornografica. Il loro segreto di maschi, il sesso onanista e la droga proibita: due vecchie Marlboro. Da un cipresso vicino avevano raccolto un paniere di coccole, che tenevano appese ad un alto ramo per difendersi dal nemico. La guerra ce l’avevamo dentro senza che nessuno ce l’avesse spiegata. Morte e sesso, sesso e morte. Due sole forze governavano il nostro universo, ma tutto era reso innocuo dal nome che portava (l’universo). Gioco. Noi stavamo giocando a un gioco. Non pensavamo di stare giocando ma dentro di noi lo sapevamo. “Fatemi salire, voglio giocare anch’io!” gridava da sotto Natalia, mentre Juri e Dimitri godevano di quelle grida femminili, che mai colonna sonora più adatta avrebbero potuto trovare per le loro… ehm… letture.
Io guardavo il nostro bosco e i nostri segreti bruciare, e la mia follia crescere pasciuta in quella tragedia. Apollo e Dioniso non erano ancora nomi che conoscevo, e i quattro elementi li avrei conosciuti davvero solo a vent’anni dalla voce timida e balbuziente del professor Leszl. Eppure oggi posso dirlo, che la nebbia era l’acqua che attraversava con l’aria quelle escrescenze di terra che erano gli alberi che di lì a poco sarebbero stati abbracciati dal fuoco. E nel mio sguardo ragione e follia, dolore ed estasi, s’intrecciavano, al di là di ogni bene e di ogni male. Dimitri piangeva Apollo, la bellezza perduta, l’ordine delle cose, l’entropia. Juri invece era quasi in una gioiosa estasi, ipnotizzato, incantato da quello spettacolo, l’espressione potente della natura, le sue quattro facce.
Forse perché aveva le gambe spezzate. Cosa ne sapevamo noi di cosa vede un cuore zoppo…

Uffa la nebbia. Certe volte le colline si ammantavano di grigi cumuli di vapore e si perdeva di vista l’orizzonte. Suo padre allora si sedeva sopra un ciocco e beveva una meritata birra fresca, che sua madre gli aveva portato da casa. Qualcuno chiese a Dimitri ‘perdono’. Che arroganza! Che presunzione! Ecco che stavolta Dimitri davvero si risentì. Qualcuno che chiede perdono presume di aver fatto del male. Chi pensa di avere il potere di stabilire se qualcosa è sbagliato – pensò Dimitri – o è Dio o un megalomane. La nebbia saliva sui colli come in quella poesia italiana. La presunzione e l’arroganza tutta umana di dare un giudizio invece scendeva. Si accasava nel ventre di Dimitri, poggiando sull’umiliazione. A tutti era passata la voglia di una birra. Juri interpretando quei silenzi affermò che un cuore senza gambe va più lontano di gambe senza cuore. Abbracciò Dimitri e – rompendo la situazione con una fragorosa risata – si mise a gridare PERDONO PERDONO! Quel giorno capii che il vero Perdono è forse possibile solo grazie ad una preventiva virtù : l’astensione dal giudizio definitivo. Cercai sempre il bene nel male e il male nel bene. E la nebbia si dissolse. Nuovi orizzonti ci apparivano tersi.

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(tratto da Juri ha le gambe spezzate di A. Mazzei, 2014)

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