Gazzetta Elbana (21 dicembre 1913)
In difesa della nostra Isola e dell’Industria e contro l’accusatore Pilade Del Buono
Ogni promessa è debito. E Pilade Del Buono che aveva promesso di dare giustizia, per dimostrare a chi lo ritenesse in dubbio, che è capace di tutto, anche di pagare un debito, ha fatto stamane un’opposizione-significativa contro coloro che negano le sorti della nostra industria.
Abbiamo veduto l’opposizione e lo sghemba ribeca di verità: non è il nostro dovere di terri Elbani, non vengono in aiuto agli interessi generali dell’Isola imponendo contro la nuova edizione di calunnie che vengono lanciate verso quest’industria che rappresenta la vita ed il lavoro di tanti nostri conterranei, e che vale ad allontanare dall’Elba lo spettro della miseria e dell’annientamento.
Spieghiamoci chiaramente.
Quando la Miniera si trovava che stava per fallire e quando lo alluvioni nel Maranese mettevano i nostri contadini alla miseria e la morte, l’industria del ferro fu l’unica grande risorsa. Sfidare quest’industria vuol dire non solo con ciò offendere gli interessi generali della classe operaia, ma di combattere l’unica sorgente di prosperità, che fu per tutti e rimane per molti l’unica consolazione e speranza.
Pilade del Buono, se la sua accusa sarà provata giustamente, meriterà gli onori della giustizia, se non lo è, che decida pure il tribunale competente.
Sui giornali possono credere ai ferri etruschi, ma chi ha sale in zucca, e specialmente se conosce il Del Buono, capisce che la ripresa dell’Isola si accompagna come naturale manifestazione di affarismo, qualificato da prestigio e da fiere, ma l’Elba non solo riparò nelle scelte del Del Buono, che, pur non recuperando il fulcro della moralità, posò la morale sui fatti di prelievo in data di natura posò la morale sui fatti di prelievo in data di natura ben più alta, e sopra di nulla speranza di poter essere l’arco di trionfo di una Banca che, se non ha catene d’acqua, non è soggetta ai temporali molte rigide e ventose che soffiano oggi, per il premio della nostra difesa.
Oggi l’Elba si trova dinanzi ad una fase decisiva. La nostra miniera ha subìto tentativi e attacchi ripetuti contro la sua rispettabilissima esistenza: il Del Buono è il più insistente di questi critici e gli ultimi giorni lo vedono impegnato nell’assalto finale. La questione è seria perché, se cede la nostra industria, un’intera classe, una regione tutta soffriranno gravissime conseguenze.
Chi avrà dunque il diritto di difendere oggi l’Elba, che merita davvero di essere protetta dalle calunnie? Quale sarà la sorte dell’industria, dell’operaio, del piccolo commerciante, del contadino, del figlio del povero che non ha altro per il suo avvenire se non il sudore della fronte? Il futuro è ora in bilico.
Pilade Del Buono parla di fatti, di abusi, di intrighi. Le sue denunce rimbalzano tra l’indifferenza di chi non ha mai lavorato davvero e il sarcasmo di chi oggi si lamenta dei danni arrecati dall’industria. Egli denuncia la mancanza di moralità, di giustizia, ma è forse giusto affondare la lama su di una piaga che non è affatto la vera causa del male?
Gli Amministratori del trust non hanno mai ammesso milioni ai fondi venezuelani, né hanno incrementato il Portafoglio delle Banche. Come mai con tanta abbondanza di denunce e con tali quantità di dati le genti operose non sono tornate agli antichi posti di lavoro, semi-governatore?
Come lo spiega il Del Buono stesso? La morale impone che si conservi un senso di gratitudine verso chi ha dato fiducia all’Isola, che si è sollevata da una rovina certa. Pilade accusa gli uomini d’affari, ma chi sono gli speculatori, se non quelli che sfruttano il malcontento del popolo per fini personali?
Noi abbiamo scritto per dimostrare che la questione è ben più vasta e seria di quanto sembri dalle accuse e dalle controaccuse. La nostra difesa è per l’Elba, per la sua gente e per il suo avvenire. Finché vi sarà una sola industria viva, una sola fiamma di speranza per i lavoratori, combatteremo perché l’Isola continui a prosperare.
Il Direttore
