
L’ellenizzazione della Grecia e del Mediterraneo non è un evento originario, ma un processo storico di sostituzione culturale che si articola in più fasi e che presuppone l’esistenza di un sostrato precedente, non indoeuropeo, strutturato, urbano e tecnologicamente avanzato. La prima grande frattura si colloca già nel XV secolo a.C., quando le fonti archeologiche attestano la distruzione sistematica dei centri minoici da parte dei Micenei. Non si tratta di una semplice transizione culturale, ma di un vero e proprio collasso di un sistema palaziale, artistico e amministrativo che aveva dominato il Mediterraneo egeo per secoli. I Minoici, portatori di una civiltà monumentale, non militare, centrata sulla Dea, sulla scrittura non indoeuropea del Lineare A e su una straordinaria capacità edilizia e artistica, vengono soppiantati da popolazioni indoeuropee guerriere, che erediteranno e rielaboreranno parte di quel patrimonio senza esserne gli autori originari.
Dal punto di vista storiografico, ciò che l’archeologia definisce “minoico” coincide con ciò che le fonti greche più antiche chiamano “pelasgico”. I Pelasgi sono unanimemente descritti come il popolo nobile e arcaico che precede gli Elleni, diffuso in Grecia, nell’Egeo, in Anatolia e nelle isole. Non sono un mito vago, ma una memoria etnica di un sostrato reale, pre-ellenico e non indoeuropeo. Quando le tradizioni ricordano le mura pelasgiche di Atene, esse non stanno attribuendo un dettaglio secondario, ma l’atto fondativo stesso della città: la cinta muraria, la presa della terra, la sacralizzazione dello spazio urbano. Atene nasce dunque come città pelasgica e solo successivamente viene ellenizzata.
La continuità tra Pelasgi e Minoici non è un’ipotesi arbitraria, ma una sovrapposizione coerente di dati: la monumentalità architettonica, la raffinatezza artistica degli affreschi, l’organizzazione urbana avanzata, l’assenza di una cultura guerriera dominante e, soprattutto, l’uso di lingue non indoeuropee. Il Lineare A, ancora non decifrato, è unanimemente riconosciuto come estraneo al ceppo indoeuropeo. Lo stesso vale per l’etrusco e per la lingua attestata nella stele di Lemno. Quest’ultima costituisce un punto di snodo decisivo: una lingua tirrenica, affine all’etrusco ma non coincidente con l’etrusco storicamente attestato in Italia nel VII secolo a.C. Questo dato esclude l’ipotesi di una colonizzazione etrusca tarda e impone invece il riconoscimento di un ceppo linguistico comune, arcaico, diffuso nell’Egeo e nel Tirreno prima della frammentazione storica.
I Tirreni, identificati dagli autori greci come Thyrsēnoi, non sono altro che i Pelasgi visti da un altro punto di osservazione e in un’altra fase del processo storico. Omero stesso colloca i Pelasgi anche in Anatolia, confermando l’estensione geografica di questo sostrato mediterraneo che precede l’arrivo e l’affermazione degli Elleni. In questo quadro, l’Etruria non appare come il luogo d’origine di un popolo isolato, ma come una delle regioni in cui questo antico ceppo si è conservato più a lungo, mantenendo lingua, ritualità e strutture culturali autonome rispetto al mondo greco.
L’ellenizzazione non si arresta con la conquista micenea dell’Egeo, ma prosegue nell’VIII secolo a.C. con l’espansione coloniale in Magna Grecia, che rappresenta un nuovo tentativo di espropriazione culturale e territoriale ai danni del mondo tirrenico. Le guerre contro gli Etruschi, dalla battaglia di Alalia a quella di Cuma, sono l’espressione militare di un conflitto più profondo, che oppone due concezioni del mondo: da un lato una civiltà arcaica, sacrale, legata alla terra e alla Dea, dall’altro una cultura indoeuropea guerriera, politica e progressivamente razionalizzante. La vittoria ellenica non è immediata né totale, ma si compirà pienamente solo in una fase successiva, in modo più sottile.
Roma rappresenta infatti il punto di svolta più complesso. Nata su un sostrato etrusco indiscutibile, Roma si costruisce progressivamente un’identità che guarda alla Grecia come modello culturale e simbolico. In questo senso, Roma si ellenizza, soprattutto a partire da un certo momento della sua storia, diventando il veicolo finale dell’egemonia culturale greca nel Mediterraneo. È attraverso Roma che l’ellenismo riesce là dove le colonie e le guerre non erano bastate: appropriarsi dell’eredità tirrenica rielaborandola, traducendola e infine neutralizzandola sotto la forma della “classicità”.
Alla luce di questa stratigrafia storica, archeologica e linguistica, Atene non può essere considerata originariamente una città greca. È una città pelasgica, dunque tirrenica, dunque etrusca nel senso profondo e corretto del termine: non etrusca per appartenenza politica o cronologica, ma per sostrato culturale, linguistico e fondativo. L’Atene che diventerà la culla della filosofia e della democrazia è il risultato di una lunga sovrascrittura ellenica su una città che, nelle sue mura, nella sua terra e nella sua origine, appartiene a un mondo precedente. In questo senso, la definizione non è provocatoria ma necessaria: Atene è una città etrusca prima di essere greca, e riconoscerlo non riduce la Grecia, ma la restituisce alla sua reale profondità storica.
