P A L L A S S Y N D R O M E
Athena, la cui figura corrisponde a Minerva nel pantheon romano, appare nei miti come una divinità dotata di prerogative molteplici: tecnica, sapienza, strategia militare. Un episodio fondativo della sua identità è il rapporto con Pallas, l’amica con cui – mentre erano ancora giovani – si esercitava nel combattimento rituale. Nel corso di una di queste contese ludiche, Zeus intervenne improvvisamente per proteggere la figlia, brandendo l’aegis. Il suo baleno abbagliò entrambe le fanciulle, e il colpo che Athena stava portando finì tragicamente per uccidere Pallas.
Il mito codifica qui quella che potremmo definire una “sindrome di Pallade”: un senso di colpa che la dea sublima in un processo di identificazione con la vittima. Da allora Athena assume il nome di Pallas Athena, portando il ricordo dell’amica perduta davanti al proprio. Perché questo evento divino diventi però antefatto storico-religioso, occorre che esso lasci un segno tangibile nel mondo umano. Secondo la tradizione più antica, Athena scolpì una statuetta lignea con le sembianze di Pallas, o – secondo altre versioni – tale oggetto cadde dal cielo come dono degli dèi. In ogni caso, la piccola figura divenne un’ierofania: il Palladio, uno degli oggetti più sacri dell’intero Mediterraneo.
Le fonti orientali e greche collocano il Palladio nel cuore di Ilio, dove era custodito in un ambiente sotterraneo segreto. Finché la statua rimase nella città, Troia era protetta dal suo potere. Il furto del Palladio – attribuito ora a Odisseo e Diomede, ora a traditori interni – avrebbe così reso inevitabile la caduta della città. Ma già nell’antichità circolavano versioni divergenti: alcuni Pelasgi, o gruppi troiani prossimi ai Pelasgi, avrebbero portato con sé un simulacro del Palladio durante le migrazioni verso Occidente. Il motivo è coerente con l’ampia trama di movimenti post-troiani attestata dalle tradizioni greche, etrusche e italiche: non solo Odisseo ed Enea, ma figure minori di cui restano tracce topografiche e onomastiche in Sicilia, Sardegna, Etruria, Lazio e forse nelle zone interne umbre.
In ambito etrusco, ad esempio, la presenza del nome Uthuse per Odisseo ribadisce una ricezione autonoma di cicli epici anteriori a Omero. Questo scenario rende più plausibile che un oggetto cultuale di origine anatolica – come il Palladio – abbia potuto circolare in gruppi etnici poi confluiti nel quadro protostorico dell’Italia centrale.
Nella responsabilità della morte di Pallas la parte decisiva appartiene a Zeus, che intervenne per proteggere Athena. Ma nell’elaborazione teologica greca è la dea, non il padre, a caricarsi della colpa come agente immediato. Tale gesto di espiazione, già osservato, costituisce la base simbolica del valore apotropaico del Palladio: un oggetto nato dal lutto, dalla sostituzione e dalla memoria.
Una delle linee interpretative più antiche del mito sostiene che il Palladio, sottratto da Troia durante o dopo l’assedio, sia giunto in Italia con Enea. La tradizione romana arcaica si predispose ad accogliere questo motivo integrandolo nella propria costruzione identitaria: localizzò l’isola di Circe nel Circeo, identificò il Lazio come approdo di Enea e attribuì a Roma una genealogia troiana capace di conferire auctoritas e nobilitas a una città che non poteva essere annoverata né come fondazione etrusca né, inizialmente, come potenza paragonabile a Veio.
Secondo questa ricezione, Enea avrebbe trasportato il Palladio sulla propria nave, nascosto tra i beni sacri affidati alle cure di Anchise. Giunto nel Lazio – plausibilmente dopo un viaggio lungo, forse ventennale, simile a quello di Odisseo – il Palladio sarebbe stato custodito dai discendenti di Enea fino alla fondazione rituale di Roma. Qui si apre la questione centrale.
La fondazione di Roma (753 a.C.) avviene circa quattro secoli dopo la caduta di Troia, datata dalla cronologia erudita classica al 1184/1183 a.C. È altamente significativo che la tradizione etrusco-italica preveda, nel rito di fondazione urbana, il conferimento al suolo del nuovo centro di oggetti provenienti dalle città di origine dei fondatori. Questi oggetti non hanno funzione ornamentale: sono segni di identità, di continuità genealogica e di protezione, depositati nel punto più sacro della città nascente, il mundus.
Il mundus, un pozzo strettissimo scavato nel punto focale della futura urbs, metteva in comunicazione il mondo dei vivi, quello dei morti e quello dei Numina ctoni. Veniva aperto solo tre volte l’anno, e – secondo la tradizione più arcaica – un bambino vi veniva calato per “dar aria” agli oggetti ancestrali custoditi nel sottosuolo. Poiché i fondatori non sono ancora “cittadini” della città che stanno creando, essi conferiscono al mundus frammenti della loro terra d’origine: è da quel deposito che la nuova comunità riceve identità, radice e protezione.
In questo quadro rituale, il Palladio è l’oggetto perfetto.
Presenta infatti tutte le caratteristiche richieste:
- È un oggetto genealogico, legato a una stirpe (troiana/pelasgica).
- È apotropaico, e garantisce protezione alla città che lo custodisce.
- È un segno di identità ancestrale, proveniente da una patria precedente.
- È un simulacro divino di tipo aniconico, adatto a essere conservato in luogo sotterraneo e non a uso cultuale quotidiano.
Se Enea o i suoi discendenti giunsero nel Lazio con il Palladio, è coerente immaginare che esso sia stato depositato proprio nel luogo più sacro e nascosto della Roma nascente: il mundus, cuore ctonio della città, l’unico spazio che univa passato e futuro, origine e fondazione, memoria e destino.
Così, a distanza di quattro secoli dalla caduta di Troia, il Palladio avrebbe trovato il suo ultimo deposito non in un tempio visibile, ma in un pozzo sacro invisibile – esattamente nel punto in cui Roma riceveva la sua identità.
Pallas Syndrome
Proposed Diagnostic Entity for DSM-VI
Diagnostic Criteria
A. The individual exhibits a persistent pattern of self-attribution of culpability for a past event in which:
- The objective responsibility is ambiguous, shared, or primarily attributable to another agent; and
- The individual assumes the primary moral or causal burden despite evidence to the contrary.
B. The individual demonstrates identity merger or identificatory over-alignment with the person harmed or lost in the event, as evidenced by one or more of the following:
- Adoption of roles, traits, or symbolic markers associated with the harmed individual.
- Internalization of the other’s perceived qualities or vulnerabilities as part of the self-schema.
- Narrative reconstruction in which the self is redefined primarily through the act of assumed culpability.
C. The self-imposed culpability leads to clinically significant distress or impairment in social, occupational, or relational functioning, including but not limited to maladaptive self-sacrifice, chronic overcompensation, or inhibited assertiveness.
D. The symptoms are not better explained by Major Depressive Disorder, Post-Traumatic Stress Disorder, Prolonged Grief Disorder, Obsessive-Compulsive Disorder (notably responsibility-checking subtype), or a Personality Disorder.
E. The symptoms are not attributable to the physiological effects of a substance or another medical condition.
Diagnostic Features
Pallas Syndrome is characterized by a disproportionate and self-directed assumption of guilt for an adverse outcome, typically involving harm—physical, emotional, or symbolic—to another person. Individuals internalize responsibility beyond what is reasonable or factually warranted. A defining element is identity fusion with the harmed party: the person may incorporate attributes, routines, or symbolic elements associated with them as part of an implicit expiatory process.
The syndrome often develops after an event perceived as sudden, accidental, or partially outside the individual’s control. The subject interprets the event as a moral failure, even when external evidence suggests otherwise. This leads to chronic patterns of compensatory behavior, protective overfunctioning, and inhibited self-assertion.
Associated Features Supporting Diagnosis
• Excessive moral scrupulosity or hyper-responsibility
• Persistent self-monitoring and self-inhibition
• Ritualized forms of reparation or symbolic atonement
• Somatic symptoms associated with chronic guilt (e.g., tension, sleep disturbance)
• Difficulty receiving forgiveness or reassigning responsibility
• Idealization of the harmed individual and denigration of the self
• Identity constriction: a sense that one “became” the event
Prevalence
Unknown; likely rare. May be under-recognized due to overlap with normative guilt and with culturally reinforced patterns of self-sacrifice.
Development and Course
Onset typically follows a single marked event involving loss or harm. Symptoms may persist chronically if the individual adopts the guilt as a stable component of identity. Without intervention, the syndrome may progress to entrenched patterns of self-negation or relational overcompensation.
Risk and Prognostic Factors
• Temperamental: High moral sensitivity, elevated trait empathy, perfectionism, harm-avoidance.
• Environmental: Role expectations of responsibility, exposure to unpredictable authority figures, enmeshment with the harmed individual.
• Genetic/physiological: No data.
Protective factors include strong validation of shared responsibility and environments that discourage self-blame.
Differential Diagnosis
• Post-Traumatic Stress Disorder: Pallas Syndrome lacks core PTSD features such as intrusive re-experiencing and hyperarousal; guilt is primary rather than secondary.
• Prolonged Grief Disorder: Grief may be present, but identity-fusion guilt is not required.
• Obsessive-Compulsive Disorder (responsibility subtype): In OCD, guilt is driven by intrusive thoughts and compulsions; in Pallas Syndrome, guilt is ego-syntonic and identity-based.
• Major Depressive Disorder: Negative self-evaluation may occur, but Pallas Syndrome centers on a specific event and a compensatory identity shift.
• Personality Disorders: Particularly Dependent and Borderline; however, Pallas Syndrome is event-linked and not pervasive across contexts.
Comorbidity
May co-occur with depressive symptoms, anxiety disorders, or trauma-related disorders. Interpersonal dependency or self-effacing traits may be present but are not required.
