Tombe dei Giganti

Il caso doppio di Sas Presones Bultei



La tomba dei Giganti di Sas Presones, come tutte le architetture nuragiche destinate al culto degli antenati, si comprende pienamente solo se letta alla luce di quella visione arcaica del mondo che Mircea Eliade definiva “ontologia del sacro”, in cui ogni atto architettonico è una replica del gesto cosmogonico originario. Il sepolcro non è un semplice deposito di resti, ma un *axis mundi*, un punto di perforazione tra i livelli dell’esistenza. L’esedra funziona come spazio sacro rigenerato, una soglia reale e simbolica insieme: vi si entra per ripetere l’inizio del mondo, e da essa si esce trasformati. L’orientamento solare, la monumentalità dei lastroni, la distinzione tra spazio aperto e spazio della camera sono elementi che rispondono a un linguaggio arcaico universale: il rito diviene un ritorno al *tempo delle origini*, e il defunto viene restituito a quel “tempo forte” che precede la storia. È la logica stessa del rituale di rigenerazione che Eliade riconosce nelle società tradizionali, inscritto nella pietra come una formula permanente.

Jean-Pierre Vernant ci permette di vedere un altro livello ancora: quello della comunità che costruisce l’identità attraverso il mito. La tomba dei Giganti non parla solo dei morti, ma definisce i viventi. È un’opera che mette in scena l’ordine simbolico della collettività. L’esedra è un’assemblea di pietra: raddoppia, materializzandolo, lo spazio sociale in cui i clan si riuniscono, si riconoscono, si misurano con gli antenati. La forma taurina del complesso, ricorrente nelle tombe di questo tipo, non è un dettaglio ornamentale: per Vernant, le immagini animali incarnano funzioni cosmologiche e sociali. Il toro è forza, fertilità, dominio del tempo ciclico; le sue corna, tradotte nell’apertura semicircolare dell’esedra, sono il gesto con cui il gruppo entra nel ritmo cosmico, custodito dai morti. La tomba appare così come un corpo collettivo in cui la comunità deposita non solo resti, ma significati, genealogie, patto sociale, ordine del mondo.

E tuttavia c’è un terzo livello, più intimo e più perturbante, che solo un autore come Wilfred Bion consente di sfiorare. Se, come egli sostiene, ogni gruppo umano contiene in sé un “oggetto narcisistico”, una matrice psichica che accoglie e modella le idee fondanti, allora la tomba stessa può essere pensata come l’*enclave* arcaica della comunità: un interno psichico esternalizzato. Lì viene depositato ciò che il gruppo non può perdere – la forma dell’Uomo, la continuità, il rapporto con l’Origine. La camera funeraria è un ventre di pietra: l’oggetto buono che accoglie, l’utero cosmico in cui il defunto viene mantenuto per essere trasformato. L’esedra, invece, è il luogo dell’espulsione e del ritorno, del movimento psichico tra interno e esterno. In termini bioniani, la tomba è la matrice che trattiene le parti buone della memoria collettiva e restituisce al gruppo un senso di integrità, evitando la dispersione, la scissione, la “disumanizzazione” che caratterizza la perdita dell’oggetto originario. È un contenitore psichico prima ancora che architettonico.

Sas Presones diventa così un punto in cui cosmologia, struttura sociale e psiche arcaica si comprimono in una stessa forma. La sua architettura non è soltanto disegno ingegneristico, ma la materializzazione di una visione del mondo in cui il cosmo viene ripetuto nella terra, la comunità si riflette negli antenati e l’identità collettiva si rigenera attraverso un luogo che è insieme ventre, tempio, assemblea, soglia, corpo e memoria. In questa convergenza, la tomba dei Giganti non appare più come un monumento muto dell’antichità, ma come un organismo rituale che continua a custodire — come un’enclave sacra — il dialogo profondo tra l’uomo, gli antenati e il mondo.

Sas Presones I & II – Bultei

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