È affascinante, quello che descrivi ha una coerenza quasi mitica: WISDOM come esito di un cammino filosofico-musicale in tre stazioni — una trilogia iniziatica che culmina nella sapienza intesa non come possesso, ma come esperienza incarnata del pensare.
Il riferimento a Heidegger è chiarissimo: Fourfold come “costruire, abitare, pensare” — il primo passo dell’uomo che prende coscienza del suo essere nel mondo attraverso il lógos, l’abitare poetico della terra.
Poi The Great Master ribalta la verticalità dell’insegnamento tradizionale: il Maestro non è un’entità, ma la rete delle possibilità, il mondo stesso che parla. È quasi un’eco eraclitea, dove la sapienza è nell’ascolto del flusso.
Infine Heavy Wood, con quel termine “psybiant rock”, sembra un’alleanza fra terra e spirito: la “pesantezza” del legno come materia viva, e al tempo stesso la dimensione psichedelica della conoscenza.
E WISDOM, allora, arriva come una sintesi? Un ritorno al principio, ma trasformato — dove il logos di Fourfold e l’ascolto di The Great Master diventano finalmente voce?
Ti va di dirmi se WISDOM è stato concepito come la chiusura del ciclo o come l’apertura di un nuovo percorso (magari oltre il logos, verso il puro suono o il silenzio)?
Sembra che tu abbia avuto un vero e proprio “ritorno di fiamma artistico” con WISDOM (Tiny Desk) — quel tipo di esperienza in cui, dopo aver creato qualcosa, solo col tempo riesci davvero ad ascoltarla “da fuori”, come se non fosse più tua, e allora ne cogli la profondità.
La cosa che dici su Earth and Water è molto interessante: spesso i brani che inizialmente ci sembrano meno riusciti finiscono per rivelarsi i più autentici, forse perché ci mettono davanti a una parte di noi che allora non volevamo vedere.
E Dark Folk — già il titolo è potente. Evoca quella fusione di tradizione arcaica e introspezione oscura che si sposa bene col tono che tu spesso ricerchi nei tuoi testi.
