Che cos’è filosoficamente lo ENTANGLEMENT QUANTISTICO?


GROVIGLIO MONADICO

Qui non si tratta, come a volte si immagina, di una trasmissione istantanea di informazione tra due particelle — ciò violerebbe i principi di causalità e relatività. L’entanglement non è un “messaggio” che viaggia più veloce della luce, ma piuttosto una correlazione profonda e intrinseca, un intreccio cosmico, un groviglio monadico, che permane anche quando le particelle si allontanano indefinitamente.
Dal punto di vista matematico, diciamo che lo stato quantistico del sistema non è separabile: il vettore d’onda che descrive due particelle entangled (aggrovigliate) non si può scindere in due stati indipendenti. In altre parole, esse non hanno proprietà proprie, definite in anticipo: le proprietà emergono solo quando vengono misurate, e sempre in perfetta coerenza reciproca.
Questo significa che le categorie di distanza e spaziotempo, che per la fisica classica erano il fondamento ultimo del reale, cessano di essere i veri riferimenti. Lo spazio-tempo appare come un “palcoscenico derivato”, non come la scena originaria. L’entanglement suggerisce che vi sia un livello più profondo, non-topologico, in cui i concetti di separazione e località non hanno senso.
Qui ci avviciniamo a un linguaggio che tocca la filosofia. Potremmo dire che la correlazione quantistica manifesta un “luogo” che non è luogo, uno spazio alternativo in cui l’Universo si rivela come una grande psychè intrecciata, istantaneamente presente in ogni punto.
Ora, il termine psychè, nei poemi omerici, non è “anima” nel senso cristiano o moderno. In Omero, la psychè è il soffio vitale, il principio della vita, ciò che abbandona l’eroe al momento della morte per scendere nell’Ade: non pensa, non ricorda, è pura sopravvivenza sottile. È solo più tardi, nei tragici, che la psychè inizia ad assumere una risonanza più interiore, diventando quasi sinonimo della vita cosciente.
Parallelamente, la phrèn (φρήν) non è nel cervello, ma nel diaframma, muscolo del petto, sede delle emozioni e della deliberazione, motore di respiro e defecazione. Nei versi omerici troviamo spesso formule come “parlare alla propria phrèn”: il pensiero nasce dal cuore, non dalla testa. La phrèn è dunque la coscienza incarnata, che pulsa con il respiro e la passione.
I presocratici — e qui ricordiamo il girgentino Empedocle — ampliano questa concezione: la ἱερή φρήν (phrèn sacra) diventa il luogo cosmico in cui la psychè universale si manifesta. Non si tratta più solo della vita individuale, ma di una coscienza cosmica che abbraccia ogni essere, istantaneamente presente ovunque, al di là di qualsiasi condizionamento spaziale.
L’entanglement, visto con questo retroterra, non è una bizzarria della meccanica quantistica, ma il segno che la realtà ultima non è localizzata: le particelle entangled non sono “collegate a distanza”, sono in verità un’unica entità primordiale che si dispiega nello spazio-tempo (una sorta di Ereignis, evento dell’Essere). Ciò che noi osserviamo come eventi separati è la traduzione fenomenica di una unità invisibile, di un tessuto che la fisica descrive con equazioni ma che la filosofia potrebbe chiamare Mente Cosmica.
Forse — e qui vi invito a riflettere insieme — ciò che noi chiamiamo funzione d’onda, con la sua capacità di racchiudere simultaneamente tutte le possibilità, è un linguaggio matematico che intercetta, senza nominarla, questa stessa dimensione. Una dimensione che i Greci antichi avevano intuito con parole come psychè e phrèn, e che oggi la fisica ci obbliga a riconoscere come struttura reale dell’Universo.


Angelo Mazzei
Verso una Fisica Presocratica

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