IL TELAIO COME SIMBOLO DELLA RETTITUDINE DOMESTICA



Nella stessa epoca in cui si svolsero i fatti tragici di Lucrezia a Roma, all’isola d’Elba esisteva un grande palazzo di circa duemila metri quadri appartenente alla nobile famiglia degli Spurinna di Tarquinia. Tarquinia era allora una delle città etrusche più antiche e prestigiose, centro aristocratico di grande influenza politica e religiosa, mentre Roma era poco più che una città giovane e non consacrata, non ancora parte della federazione etrusca, una sorta di porto franco che offriva asilo a criminali e delinquenti provenienti da altre genti. Nell’Elba, nelle stanze della signora Spurinna, la domina della casa, che da fanciulla portava il nome di Ramtha Curunas Cretnai, in latino Ramessa Corona Cretani, nome che tradisce origini da Tuscania e da Creta, gli archeologi hanno trovato diverse decine di pesi da telaio, fuseruole e rocchetti, chiara testimonianza della costante presenza femminile e delle attività domestiche che lì si svolgevano. Il telaio per tessere, da Penelope fino a Lucrezia, è infatti il simbolo per antonomasia del compimento dei doveri domestici della matrona, custode della casa e della virtù familiare.
Secondo la tradizione narrata da Tito Livio nel primo libro dell’Ab Urbe Condita, la nascita della Repubblica Romana risale all’anno 509 avanti Cristo, il duecentoquarantacinquesimo dalla fondazione di Roma. In quel tempo regnava Lucius Tarquinius Superbus, l’ultimo re etrusco della città. Durante una cena tra giovani nobili romani sorse una disputa: ciascuno elogiava la propria moglie, e Lucius Tarquinius Collatinus assicurava che la sua, Lucretia, era la più virtuosa di tutte. Decisero allora di metterla alla prova e, tornando di sorpresa alle loro case, trovarono le altre donne impegnate in banchetti e svaghi, mentre Lucretia filava la lana, simbolo dell’austera dedizione alla famiglia. Più tardi, quando Sextus Tarquinius, figlio del re e cugino di Collatinus, fu ospitato nella casa di Collatia, approfittò dell’ospitalità e di notte, con minacce di morte e di disonore, costrinse Lucretia a subire la violenza. Il giorno seguente Lucretia si recò a Roma dal padre Spurius Lucretius Tricipitinus, fece chiamare il marito e Lucius Junius Brutus e narrò loro il misfatto. Pur dichiarandosi innocente perché vittima di un crimine, affermò che non avrebbe voluto sopravvivere al disonore. Pronunciò le parole: “Sta a voi decidere la pena per colui che ha commesso il delitto; quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non mi libero dalla punizione. Da oggi in poi nessuna donna vivrà disonorata seguendo l’esempio di Lucrezia”. Subito dopo, estraendo un coltello nascosto sotto la veste, se lo conficcò nel cuore e cadde morente davanti agli occhi del marito e del padre. Allora Bruto, sfilando il pugnale dal corpo insanguinato, giurò vendetta sul sangue della casta Lucrezia, promettendo di cacciare il re Tarquinio il Superbo, la sua sposa e tutta la stirpe dei suoi figli, e di non permettere mai più che un re regnasse a Roma. Da quell’atto nacque la rivolta popolare che cacciò la dinastia dei Tarquini, mise fine alla monarchia e diede origine alla Res Publica Romana. I primi consoli della nuova repubblica furono lo stesso Lucius Junius Brutus e Lucius Tarquinius Collatinus. Così il suicidio di una donna, esempio di pudicitia e virtus, segnò la caduta dei re e l’inizio della libertà di Roma.




