UN QUADRO DI CARATTERI ARCHETIPICI

Archetipi in transito: filosofia e psicologia in dialogo
Afrodite apre la danza, immagine di bellezza e seduzione, figura che Jung avrebbe forse iscritto nell’intreccio tra Anima e Animus, laddove la femminilità non è mero ornamento ma forza di attrazione e armonia, principio relazionale ed estetico che conduce l’essere umano verso l’altro. Invece la bellezza, quando appare in forma virile, non conserva più la sua trasparenza sensuale: diventa potere, dominio, forza. Qui si genera la tensione, talvolta paralizzante, di un double bind non eudemonico: l’anima che vuole armonizzare e l’animus che vuole possedere, due archetipi incompatibili che si incrociano come fili spezzati in un telaio che non sa più tessere, eppure proprio in questa frattura si insinua la possibilità di un pensiero nuovo.¹ Così l’Afrodite che seduce introduce il suo contrario, il Combattente, l’Eroe, il Guerriero: colui che afferma la volontà come atto primario ed egotico, dicendo al mondo “io ci sono”, trasformando l’universalità nella singolarità di un corpo e di un gesto. Questa affermazione non è un puro narcisismo, ma il nietzscheano grande SÌ alla vita, la conferma entusiastica di un dio che abita nell’uomo e lo trascina oltre la propria misura.² L’eroe non agisce soltanto per sé, ma incarna lo spirito del mondo nel suo slancio bergsoniano, quel pensiero pre-umano che Eraclito chiamava logos, principio immortale che precede ogni individuo e tuttavia si incarna in esso.³ Ma ogni affermazione chiama in causa il suo rovescio: la Giustizia che punisce, il giudizio che divide, l’ombra che si staglia dietro la luce. L’ombra è necessaria, perché senza di essa la coscienza si accecherebbe nella sua stessa luminosità. Eraclito l’avrebbe chiamata polemos, padre di tutte le cose, che smaschera i sonnambuli che vivono soltanto da un lato, nel comfort di un mondo senza opposizioni.⁴ Giustizia come ferita, giudizio non ancora conciliato nella sintesi hegeliana, né dissolto nel gioco differito di Derrida, che ne mostra la perpetua instabilità, la promessa mai mantenuta, il dovere che non si lascia compiere.⁵ E a chi appartiene questo giudizio, se non all’Attore che indossa la maschera? Persona, dall’etrusco phersuna, maschera teatrale che è volto stesso, non copertura ma identità. Non vi è fisiognomica capace di oltrepassarla: non c’è un volto autentico dietro la maschera, perché la maschera è l’essenza della relazione, il modo stesso in cui l’individuo si consegna al mondo.⁶ La maschera a sua volta rimanda al Re, al Sovrano che detiene il potere, oppure al Saggio che lo trasfigura in conoscenza. Differenza sottile, eppure decisiva: il primo governa la materia e l’ordine, il secondo l’intelletto e la misura. Platone univa i due nel filosofo-re, Machiavelli li separava nel Principe e nel sapiente.⁷ Materia e spirito si contendono il trono, e la storia non smette di oscillare tra queste due forme del potere. Dalla sovranità si giunge naturalmente al Creatore, al Mago, al demiurgo che plasma il mondo. La poiesis, dice Aristotele, è il gesto di creare forme nuove, non ancora date.⁸ L’artista, lo scrittore, il mago non si limitano a ornare l’esistente, ma aprono canoni, riscrivono regole, generano universi. In questa capacità di formare, essi anticipano la trasformazione, l’alchimia dell’immaginazione che rende visibile ciò che non era mai stato. Ma l’atto creativo è sempre minacciato dal Trickster, figura ambigua che gioca e destabilizza, che porta il rischio e il caos laddove si pensava di aver stabilito un ordine. Egli appare come confusione, e invece cela un ordine alternativo, invisibile ai più. Ermes, coyote, clown, buffone: il Trickster scompagina e costringe a ripensare. Nella sua irriverenza, egli anticipa le teorie della complessità e la decostruzione derridiana, mostrando che ogni sistema porta in sé il proprio crollo.⁹ E infine, quando tutte le figure si sono esaurite, resta il bisogno di contatto e di solitudine: l’Orfano che cerca protezione, l’Amante che desidera legame, l’Esploratore che non si accontenta e si spinge oltre. Qui ritorna il bambino interiore, la parte fragile e vulnerabile che cerca riparo, quella stessa fragilità che, in Berne, diventa il nucleo transazionale dell’Io.¹⁰ In questo archetipo conclusivo, la psiche si mostra non come struttura rigida, ma come movimento continuo tra l’attaccamento e la fuga, tra la ricerca di appartenenza e il desiderio di oltrepassare ogni limite. Così, come in un coro tragico, Afrodite e il Guerriero, la Giustizia e la Maschera, il Sovrano e il Creatore, il Trickster e l’Orfano si intrecciano in un’unica tessitura. Filosofia e psicologia, lungi dall’essere discipline separate, rivelano qui la loro comune appartenenza: entrambe cercano di dare forma al caos del vivere, di riconoscere nel frammento un’immagine universale, senza mettere in atto coroplastiche geometriche di schemi rigidi, esse devono far vedere le differenze senza ridurle a categorie fossili. Gli archetipi, più che figure statiche, sono movimenti del pensiero, onde che si rincorrono in un mare che non conosce approdi definitivi. Sono le emozioni che fanno di noi quello che noi più intimamente già da sempre siamo: Eu-dèmoni, grovigli di spiriti.
Note bibliografiche
- C. G. Jung, Archetipi e inconscio collettivo, Torino: Bollati Boringhieri, 1980.
- F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Milano: Adelphi, 1972.
- G. Colli, La sapienza greca. Eraclito, Milano: Adelphi, 1980.
- Eraclito, Frammenti, a cura di G. Reale, Milano: Bompiani, 2003.
- J. Derrida, Forza di legge. Il “fondamento mistico dell’autorità”, Milano: Cortina, 2003.
- F. Nietzsche, Genealogia della morale, Milano: Adelphi, 1977.
- Platone, Repubblica; N. Machiavelli, Il Principe.
- Aristotele, Etica Nicomachea VI.
- P. Radin, The Trickster: A Study in American Indian Mythology, New York: Schocken Books, 1972.
- E. Berne, A che gioco giochiamo, Milano: Bompiani, 1970.
