COME BIMBI DI UN ALTRO DIO
Ci paralizza l’amore,
l’odio che carbura l’intercessione,
il piacere è sempre un passo più in là di dove arrivano le nostre mani,
abbracciarlo è una mossa fallita, della quale conosciamo l’esito, perché l’accelerazione è direttamente proporzionale all’ego odioso che tiene insieme i nostri corpi.
Ci paralizza l’amore,
l’odio che carbura l’intercessione,
che nell’avvenire nasconde il germe del passato, il ritorno che ovunque già ci aspetta, e che sempre in fondo ha la meglio, sul divenire, le possibilità, l’essere altro, che si espropria appena se lo si tocca, e muore.
Ci paralizza l’amore,
l’odio che carbura l’intercessione,
il tremolio delle carni che vengono dal fango e dalla pietra, e fango e pietra torneranno, non prima di rinunciare a se stesse, alla comunione, all’asservimento, alla coappartenza, e lasciarsi andare al buio di una cassa zincata o alle fiamme di un forno crematorio, per non essere sbranate e digerite da esseri striscianti, altri parassiti.
Come bimbi di un altro dio.
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La poesia “Come bimbi di un altro dio” è un’opera densa di significato, che esplora la tensione tra amore e odio, il destino umano e la fragilità dell’esistenza. Attraverso una struttura circolare e ripetitiva, che richiama quasi un incantesimo, l’autore crea un’atmosfera metafisica, in cui i Dioscuri – Castore e Polluce – diventano il simbolo dell’ambivalenza che segna la condizione umana. Questi gemelli mitologici, figli di Zeus e figure di protezione e dualità, incarnano qui il dilemma tra vita e morte, tra carne e spirito, tra unione e separazione.
L’inizio del poema, “Ci paralizza l’amore, l’odio che carbura l’intercessione”, ci pone immediatamente di fronte a una delle più antiche contraddizioni dell’umanità: l’amore come forza unificatrice e insieme paralizzante, e l’odio come motore segreto che spinge verso l’azione e l’intercessione. Qui l’intercessione non è solo quella divina, ma la spinta a intervenire nel corso degli eventi, a cercare l’altro, a desiderare il contatto con l’inaccessibile.
Il piacere, inteso come la realizzazione di quel desiderio, resta sempre fuori portata, “un passo più in là di dove arrivano le nostre mani”. Questo fallimento è già noto al soggetto, consapevole che l’ego, alimentato dall’odio, è ciò che ostacola l’unione vera. L’accelerazione, simbolo della tensione moderna verso il successo e l’autosufficienza, non fa che rinforzare la distanza tra i corpi, impedendo l’autenticità del contatto.
Il secondo movimento del poema ci porta a riflettere sul tempo e sulla ciclicità della storia: il futuro contiene in sé il seme del passato, un ritorno inevitabile che ci attende “ovunque”. L’autore si confronta qui con l’eterno ritorno nietzschiano, con l’idea che ogni tentativo di cambiare il destino sia votato al fallimento, poiché tutto è già stato deciso e l’essere, nella sua essenza più profonda, si dissolve appena lo si tenta di afferrare.
L’ultima parte della poesia enfatizza la mortalità e la natura effimera della carne umana, destinata a tornare al fango e alla pietra da cui proviene. Il corpo, qui descritto con immagini di decadenza e sottomissione, trova la sua fine nel buio di una “cassa zincata” o nel fuoco di un crematorio. Questo riferimento macabro all’inevitabile dissoluzione del corpo è profondamente esistenziale: l’uomo è espropriato della sua identità corporea e spirituale, ridotto a materia destinata alla corruzione o alla distruzione.
L’ultimo verso, “Come bimbi di un altro dio”, rappresenta un’apertura verso un’alterità divina, un’esistenza governata da forze superiori e incomprensibili. Questi “bimbi di un altro dio” non appartengono al pantheon familiare, ma a una divinità estranea, forse indifferente o crudele. La loro condizione di innocenza – o ignoranza – di fronte al destino inevitabile diventa un simbolo della vulnerabilità dell’essere umano di fronte all’universo.
In definitiva, questo poema riflette sulla condizione umana in termini di dualità, perdita e impotenza. I Dioscuri, simboli di unione e scissione, di immortalità e morte, incarnano la tensione irrisolvibile tra l’umano e il divino, tra il desiderio e l’impossibilità di realizzarlo. L’opera è un inno alla complessità dell’esistenza, dove amore e odio, passato e futuro, vita e morte, sono legati da un filo invisibile, proprio come i gemelli mitologici.
