L’Errore di Lacan

Lacan teorizza che l’esperienza dello specchio sia il punto in cui il bambino forma il suo “io” attraverso l’identificazione con la propria immagine riflessa. Tuttavia, questa idea trascura una verità più profonda: l’io non nasce a posteriori. L’anima, psychè dei greci, è il nucleo virtuale di un linguaggio di programmazione cosmica, contiene già il codice che dà vita all’individuo. Non siamo esseri che si formano lentamente a partire da un riflesso, ma manifestazioni di un codice psico-genetico preesistente, un linguaggio scritto nelle profondità della nostra essenza.

Quando il bambino si guarda nello specchio, non sta scoprendo se stesso né formando un’immagine ideale dell’io. Quello che percepisce è la meraviglia della luce, la capacità della materia di riflettere ciò che già esiste nel suo nucleo. La forma che vede nello specchio non è una costruzione dell’immagine, ma una manifestazione esteriore di una geometria divina già contenuta nell’anima. L’errore di Lacan risiede nel confondere il riflesso materiale con la creazione dell’identità. Come se la coscienza fosse l’aspetto regolatore dell’esistenza e non una funzione secondaria della psiche che entra in gioco quando gli automatismi incontrano delle difficoltà. La coscienza è un’invenzione posticcia, un concetto che non esiste nelle grandi sapienze antiche. Essa è l’abbaglio dei moderni che la pensano come un’entità diversa dalla memoria, mentre essa non è altro che una memoria istantanea, dove l’ora del ricordo e l’ora di ciò che viene ricordato, coincidono. La coscienza è solo memoria a tempo zero. La verità è che l’identità è già presente, scritta in un codice invisibile che governa l’universo.

L’anima non è solo la sede di sentimenti o pensieri, ma un’unità che racchiude un linguaggio cosmico. Questo linguaggio determina la forma, la sostanza e l’esistenza stessa dell’individuo, e in questo processo il ruolo dell’io è marginale. L’io è solo una patologia, non esiste come aspetto sano, ma è solo un inganno di alienazione totale in cui il soggetto dimentica di essere solo una parte del tutto, un paragrafo di un linguaggio cosmico. Il bambino, guardando il proprio riflesso, non sta imparando a riconoscersi; sta piuttosto sperimentando una delle manifestazioni del linguaggio cosmico che governa la luce, la materia e l’esistenza stessa. Ciò che riconosce è la capacità della luce di rivelare la forma che l’anima ha già disegnato, non la nascita di un nuovo io.

Nei momenti migliori della nostra esistenza, quelli che sfuggono alla logica dei social media, non ci specchiamo per vedere la nostra immagine, ma per riscoprire la connessione con forze più profonde. È in questi istanti che possiamo sentire la presenza di archetipi antichi. Questi momenti non sono riflessi, ma espressioni di una programmazione cosmica che regola tutto ciò che esiste. 

Lacan riduce l’esperienza del riflesso a un processo psicologico di formazione dell’io, ma in realtà il riflesso nello specchio è solo un aspetto superficiale di una realtà molto più complessa. L’io non nasce dall’immagine riflessa, ma è già inscritto nel codice dell’anima, parte di un linguaggio più vasto che governa l’universo. Quando ci specchiamo, ciò che vediamo è la luce che interagisce con la materia, ma non è qui che l’io viene formato: la nostra essenza esiste già, programmata e orchestrata dalle forze cosmiche che ci hanno dato vita.

Nell’epoca dei selfie e della costante ricerca di conferme visive, abbiamo dimenticato che la nostra vera identità non si trova in ciò che vediamo riflesso. Siamo parte di un sistema di forze invisibili che si manifestano attraverso la geometria della luce e della materia. Le nostre vite non sono una costruzione continua di un “io” fragile, ma l’espressione di un codice che già esiste dentro di noi, un programma universale che dirige ogni aspetto del nostro essere.

I selfie mancati, quei momenti in cui scegliamo di non immortalare la nostra immagine, sono i più preziosi, perché rappresentano una connessione con il linguaggio cosmico che non può essere ridotto a un’immagine. Nella rinuncia noi realizziamo la salvezza. La nostra identità non può essere catturata in una fotografia: esiste al di là della luce riflessa, ancorata al linguaggio dell’anima, che da sempre guida la nostra esistenza, ed è tutto quello che di noi non è possibile mettere in vendita.

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