Per ricostruire le radici preindoeuropee incarnate dai Pelasgi e dagli Etruschi, è necessario adottare un approccio interdisciplinare che abbracci storia, archeologia, studi religiosi, filosofia e ecologia. Questo non è un semplice esercizio accademico, ma un progetto culturale che offre modelli alternativi per affrontare le sfide contemporanee. La ricerca storica e archeologica rappresenta un punto di partenza cruciale, permettendo di accedere alle fonti che documentano la cultura, la religione e la cosmologia di questi popoli. Erodoto, ad esempio, ci fornisce importanti informazioni sui Pelasgi e sugli Etruschi, benché filtrate dalla lente della cultura greca. Le opere di autori moderni come Massimo Pallottino, Larissa Bonfante e Giovannangelo Camporeale approfondiscono la conoscenza della civiltà etrusca, rivelando aspetti fondamentali della loro visione religiosa e artistica. Il simbolismo etrusco, ricco di riferimenti alla natura e al ciclo della vita, può essere reinterpretato come una chiave per comprendere la stretta connessione tra uomo e cosmo. Questo percorso di risignificazione delle radici religiose dei Pelasgi e degli Etruschi richiede anche di esplorare una visione del sacro non antropocentrica, come quella descritta da Walter F. Otto nel suo Teofania, in cui gli dèi non sono distanti o separati dal mondo umano, ma parte di un’esperienza immanente e quotidiana. L’approfondimento del simbolismo religioso e mitologico di queste civiltà può offrire modelli di spiritualità più ecologici e armoniosi rispetto alle concezioni dualistiche della modernità. Il pensiero ecologico contemporaneo trova in questo recupero nuove ispirazioni, come suggeriscono studiosi quali Mircea Eliade, Martin Heidegger e James Hillman, i quali hanno esplorato il sacro come una dimensione interconnessa con la vita naturale e sociale. Figure come Heidegger, con il suo concetto di “abitare” la terra, offrono riflessioni filosofiche profonde sul modo in cui l’uomo si relaziona al sacro e alla natura, anticipando una concezione olistica che trova paralleli nelle cosmologie pelasgiche ed etrusche. Anche Arne Næss, fondatore dell’ecologia profonda, e David Abram, con le sue riflessioni sulla percezione sensoriale del mondo naturale, forniscono prospettive utili per sviluppare una filosofia del sacro ecologica. Il recupero di queste tradizioni preindoeuropee passa anche attraverso un dialogo interculturale che integri visioni del mondo non occidentali, come quelle indigene o orientali, in cui il sacro è visto come immanente e la natura è considerata un’entità vivente. In questo contesto, autori come Vandana Shiva, attivista e filosofa, offrono un’importante critica al colonialismo e all’alienazione moderna dalla natura, proponendo modelli agricoli e culturali che rispettano la terra come una forza sacra. La decolonizzazione del pensiero occidentale è dunque fondamentale per riscoprire le radici di una spiritualità più armoniosa, come quella preindoeuropea, che non separa l’uomo dal divino e dalla natura. Inoltre, la riflessione filosofica sulla nozione di sacro, come suggerita da studiosi delle religioni arcaiche come Julien Ries e antropologi come Maurice Godelier, aiuta a comprendere la costruzione sociale e simbolica del sacro in queste culture antiche. Gli Etruschi e i Pelasgi ci offrono dunque una prospettiva per reinterpretare il sacro come forza immanente, capace di risignificare la nostra relazione con l’ambiente naturale e con la vita.
