PARTE I
capitolo 5
Denominazione e Nobiltà di un’Isola
Questa volta non parleremo dei nomi dell’isola e della nobiltà che essi le conferiscono, bensì tratteremo la questione dei nomi e della nobiltà dei suoi abitanti. L’Elba, con la sua storia e le sue tradizioni, ci offre uno spunto interessante per riflettere su un tema sempre più raro nel mondo odierno: la trasparenza e la familiarità nella comunicazione interpersonale. Su quest’isola, infatti, non esistono certe forme di privacy come si vedono nelle città moderne, dove anonimato e distacco vengono eretti a valori fondamentali.
Un elbano autentico non ricorre mai a formule generiche o distanti come “me lo ha detto un amico” o “devo vedere delle persone”. All’Elba, i nomi vengono sempre detti chiaramente: “me l’ha detto Marco”, e se vi è bisogno di distinguere tra più persone, entrano in gioco altre specificazioni come il toponimo, il patronimico, il matronimico o il soprannome. Si dirà, quindi: “me l’ha detto Marco di Lacona”, oppure “Marco di Giampiero”, “Marco di Luisa” o “Marco il Brucino”. Solo raramente viene usato il cognome, a meno che non sia necessario per maggiore precisione.
Questa pratica, che potrebbe apparire strana agli occhi di chi non è cresciuto sull’isola, non è soltanto una questione linguistica. Essa distingue immediatamente un elbano, o un elbano adottivo ben integrato, da un forestiero che, per quanto viva sull’isola, non è entrato nel suo tessuto sociale. Quest’ultimo, infatti, si ostinerà spesso a usare formule di riservatezza come “esco con degli amici”, stabilendo così una distanza invisibile ma percepibile, che gli isolani trovano abominevole. Questa scelta linguistica diventa così un segnale di estraneità e di non appartenenza.
Ma che c’entra la nobiltà in tutto questo? Per gli antichi, la nobilitas non era semplicemente una questione di titoli o privilegi ereditiari, bensì una qualità intrinseca legata al riconoscimento. Il termine latino “nobilitas” deriva infatti da “nosco”, che significa conoscere, riconoscere. In altre parole, nobile è colui o ciò che è riconoscibile, che possiede un nome e una genealogia. Nel contesto elbano, l’uso del nome e del soprannome non è solo una questione di familiarità o di tradizione: è una manifestazione di questa nobiltà ancestrale, dove essere conosciuto e riconosciuto è sinonimo di appartenenza a una comunità che valorizza il legame sociale sopra ogni cosa.
In un mondo devastato dall’etica liberista, dove concetti come sicurezza, riservatezza, privacy e protezione dei dati sensibili sono eretti a valori assoluti e insindacabili, l’Elba rappresenta una preziosa eccezione. Qui, il chiamare le cose e le persone con il loro nome non è visto come una violazione della privacy, ma come un valore. Anzi, l’utilizzo del nome apre le porte a un rapporto di fiducia che costituisce il fondamento della cultura dell’isola, un luogo storicamente costretto alla solidarietà e alla cooperazione per difendersi dagli attacchi degli sconosciuti che sbarcavano dal mare.
L’isola, per secoli, ha dovuto affrontare minacce esterne e la comunità è sopravvissuta proprio grazie a un senso di coesione interna che non poteva permettersi le barriere del segreto o dell’anonimato. La trasparenza nei rapporti interpersonali, l’utilizzo dei nomi, l’apertura e la riconoscibilità non sono quindi una questione di mera tradizione, ma una necessità storica che ha plasmato il modo di vivere e interagire degli elbani. Lasciare le persone nell’ignoto, privarle del loro nome, non è considerato rispetto o discrezione, ma un’offesa. L’ignoto è visto come una barriera che mette chi lo impone ai margini della comunità, isolandolo.
Ecco che la nobilitazione degli elbani passa attraverso la loro riconoscibilità. In un mondo che ha sempre più paura del contatto diretto, l’Elba mantiene viva una modalità di comunicazione che affonda le sue radici in un passato nobile e in una concezione di nobiltà come riconoscimento sociale e identità condivisa. Qui, il valore di una persona non è legato al suo status o alla sua ricchezza, ma alla sua capacità di essere parte di una rete di relazioni, di essere conosciuto, chiamato per nome e riconosciuto come un membro della comunità.
In un’epoca in cui l’individualismo e la protezione della sfera privata sono spesso vissuti come priorità, l’Elba ci offre una lezione di vita preziosa. Ci ricorda che la vera sicurezza e la vera fiducia non si trovano nell’anonimato, ma nella trasparenza, nel riconoscere e nell’essere riconosciuti. Chiamare qualcuno per nome, sapere chi è e da dove viene, non è un’intrusione, ma una forma di rispetto che, nell’isola, vale più di qualsiasi regola moderna sulla privacy.
Così, l’Elba continua a difendere questa sua forma di nobiltà antica e comunitaria, che si oppone all’etica dell’anonimato e del distacco. Una nobiltà che si costruisce e si custodisce attraverso il nome e la relazione, in un mondo dove essere riconosciuti significa, prima di tutto, essere accolti.
