Il panenteopsichismo è una visione del mondo dove il divino si manifesta in tutte le cose (panenteismo) attraverso azioni, geometrie, colori e musiche, che rivelano il suo Genio (panpsichismo).
Per tornare agli antichi più religiosi tra tutti, – i celeberrimi Tirseni – erano certamente i più vicini al Genio Divino, e la loro antichissima sapienza riconosceva la gerarchia che pone l’umano mortale al di sotto dell’immortale divino.
Azioni, geometrie, colori e musiche erano coltivate e vissute in sinfonia tra loro, per cui ogni atto era cerimoniale e tutto era rituale. Parlare di elementi, luoghi od oggetti “sacri”, quando si parla di etruschi, puó rivelarsi un’endiadi (figura retorica per cui si disgiungono due parole l’una delle quali sarebbe il complemento dell’altra, come gli aggettivi indissociabili ‘etrusco’ e ‘sacro’). La vita etrusca è tutta un rituale che si svolge secondo un canone divino. Costruire una casa, una strada, una città; andare a caccia o a pesca; mangiare e bere e fare l’amore; far partorire, prendersi cura, ospitare, uccidere, seppellire, ecc. Ogni aspetto della vita etrusca è “sacro”.
Scrive il professor Adriano Maggiani in ‘Gli Etruschi e il Sacro’, edito in Atti del convegno “Hintial Il Sacro in terra d’Etruria” del 2009:
“[…] Dunque innanzitutto l’osservanza del rito. Per penetrare le ragioni e il senso di questo atteggiamento religioso, bisogna aggiungere al dossier un passo di Seneca, dal II libro delle Questioni naturali, un passo che tratta dei fulmini. Seneca sottolinea la differenza che esiste fra i seguaci della filosofia stoica, nei quali si riconosceva, e gli Etruschi, soprattutto per quanto riguarda l’eziologia e il significato delle folgori: “Noi (scienziati, naturalisti, filosofi) riteniamo che le folgori siano provocate dalla collisione delle nuvole. Loro (gli Etruschi) ritengono che le nuvole collidano per creare i fulmini”. E continua affermando che essi ritengono sia la divinità a muovere il mondo, la divinità che fa collidere le nuvole, la divinità che fa scaturire le folgori con una finalità precisa: nella folgore è contenuto un messaggio divino per l’uomo. Se gli dei, in ogni particolare fenomeno naturale e soprattutto in quelli che i romani chiamavano Portenta e Prodigia, se gli dei in tutti questi fenomeni naturali nascondono un messaggio, l’homo religiosus, che onora gli dei e che tiene alla Pax deorum, deve essere capace di interpretarlo. È necessario dunque mettere a punto una sorta di semeiotica religiosa: una “scienza” in grado di interpretare i segni degli dei. Questa scienza è la Disciplina, che gli Etruschi hanno sviluppata a partire da una dottrina rivelata e hanno codificata in libri, che gli eruditi del I secolo a.C. ancora conoscevano in traduzione e che Cicerone riassume sotto i titoli di Libri aruspicini, Libri fulgurales e Libri rituales: una raccolta complessa che ha a che fare con tutta la fenomenologia religiosa. Ma su tutti questi problemi non mi voglio soffermare: i manuali di Etruscologia ne trattano ampiamente. Qual è il terreno del dialogo con il dio: come si fa a interpretare la volontà del dio, a soddisfare il contenuto dei messaggi che il dio manda agli uomini? Il luogo di incontro principale è naturalmente il sacrificio. Nel momento del sacrificio l’uomo religioso è in grado di conoscere la volontà degli dei attraverso l’esame delle viscere della vittima sacrificata, ma è anche in grado di soddisfarne le richieste espiando eventuali colpe o rendendo grazie per un beneficio ricevuto.”
