E UN CUGINO DA CUBA
Più di trent’anni fa scrissi un articolo su Diario, un magazine nazionale, dove raccontavo tra mito e storia le vicende e vicissitudini del fratello di mio nonno enigrato a Cuba un secolo fa.
Oggi, a Poggio, all’isola d’Elba, ho incontrato finalmente Hugo Mazzei, figlio di Nilo Mazzei, figlio di zio Beppe. Hugo tredicenne lasció Cuba, grazie ad un’opera cattolica statunitense, si trasferí in Ohio, in una sorta di orfanotrofio di bimbi cubani, poi da lí poté finalmente ricongiungersi ai suoi genitori, prima in Texas e poi definitivamente a Miami.

e Mauro alle loro spalle

Di seguito riporto il testo del pezzo che uscí su Diario


Cuba Libre
Angelo Mazzei, 34 anni (Poggio, Livorno)
Mio nonno raccontava che suo fratello Beppe, come gli altri fratelli Romeo e Stefano, aveva lasciato l’Elba e l’Italia nei primi del Novecento per le Americhe, Romeo e Stefano avevano raggiunto Merced e Fresno nella California centrale, e la loro ricchezza è venuta in maniera onesta, lavorando la terra, prima, e comperandola, poi. Ma Beppe no.
Beppe non era stato fatto imbarcare per gli Stati Uniti, perché nella sua fedina penale risultavano iscritti reati di pensiero: Beppe era anarchico.
Recatosi a Genova per partire con i fratelli, vistosi negare il permesso d’imbarco, Beppe non demorse, sali su di un’altra nave: destinazione Cuba. Giunto a L’Avana, continuò a esercitare il proprio lavoro di muratore, cioè mise su un’impresa di costruzioni che in poco tempo si accaparrò tutti i lavori statali. Fu così che Beppe divenne stretto collaboratore del dittatore Batista.
Ma la sua collaborazione si spinse oltre. Beppe, a poco a poco, entrò così in intimità del capo di Stato, che fini per innamorarsi di sua moglie: zio Beppe, l’amante della dittatrice. Il suo potere crebbe in maniera spropositata e finí per essere uno degli uomini più ricchi e potenti di Cuba tra il 1920 e il 1950. Poi arrivò il mitico Ernesto Che e tutto fini così com’era cominciato. In piena rivoluzione, zio Beppe, ormai vecchio, s’arrese al corso della storia, ma sua figlia cercò di scappare con il malloppo. Presa una valigia, la riempi con qualche miliardo, Poi il taxi per l’aeroporto e il biglietto per Miami. Ma la beccarono, e le tolsero turto.
Anni dopo, zio Beppe, ridotto in miseria, viveva in un bilocale a L’Avana, era la metà degli anni Sessanta. Scrisse una bellissima lettera a mio nonno Nello (anche lui anarchico), dove diceva: «Caro Fratello, insegna ai tuoi figli a pensare con la testa più che con il cuore, o forse no. Forse no, non lo so più. Hai visto dove mi ha portato la nostra idea? La nostra bella idea di libertà e giustizia? Il destino di un uomo è scritto e non lo si può correggere, sono finito qui perché volli andarmene, anche se non in America. Qui ho cominciato a pensare con la testa più che con il cuore, ma oggi che il mio cuore mi si è rivoltato contro e mi ha tolto tutto, compresi i figli che hanno lasciato il Paese, per mano di un popolo ribelle, come lo eravamo noi allora, oggi, sono povero come non lo sono mai stato, ma felice».
