I monumenti megalitici di Monte Cocchero (Isola d’Elba) e i probabili rapporti dell’ Elba preistorica con la Corsica

Extrait de la Collection Latomus, vol. LVIII (1962) Hommages à Albert Grenier

di Giorgio Monaco (1963)

L’Isola d’Elba, sconosciuta finora per l’archeologia di età classica (¹), lo è anche non poco per l’archeologia anteriore all’ età grecoetrusca e romana (3). Per questa parte, che diremo preistorica, sono stati raccolti molti materiali sporadici e descritti alcuni dei molti con ogni probabilità sparsi in tutti i musci del mondo (“). Lo scrivente è veramente orgoglioso di essere stato il primo ad iniziare ricerche sistematiche anche in questo campo preistorico (come ne sono in corso in campo classico) nell’ isola d’Elba, salendo, nel 1958 e 1959, silla cime del Monte Giove di Marciana ), ove, nella selletta tra i due corni della cima, à quasi 900 m. di altitudine sul mare, rinvenne una stipe votiva preistorica (di età dal bronzo al ferro) di materiali fittili ed in pietra. La ricerca ha stabilito il riferimento, con tutta probabilità, di questa stipe ai Liguri, primitivi abitatori dell’ isola d’Elba, che ha il suo stesso primo nome, Ilva (poi ripreso dai Romani, dopo la parentesi del nome greco-etrusco di Aethalia) di evidente radice figure. Ma, risultato ben maggiore, lo scrivente ha potuto avere in questo 1960, esplorando, nella zona tra Lacona e Marina di Campo, la dorsale che dal Monte Barbatoia per il Monte Cocchero e il Monte Tambone, scende a sud fino al mare. L’esplorazione, dopo diligente esame di tutta la dorsale, fu concentrata sul Monte Cocchero (Carta d’Italia dell’ Ist. Geogr. Militare, Foglio 126 II NO, Lat. nord 42°45’45”) circa: long. ovest 210’40” circa), e specialmente sulla sua vetta () a m. 319. Salendo ad essa, sin da nord, sia da sud-est, colpiscono subito l’occhio (Tav. CCXXV, fig. 1) due enormi monoliti (in granito, pegmatite, a grana grossa con cristalli (4) anche assai grossi) inclinati a più di 45 verso terra e in direzione nord-est. Giunti quasi sulla cima, questi due monoliti si presentano come parallelepipedi a lati smussati, di evidente formazione naturale, però certo drizzati dall’ uomo (Tav. CCXXV, lig. 2). Ma lo stupore di chi, alla fine, raggiunge la cima, è immenso, quando dalla vetta stessa (sulla quale svettano non solo i due monoliti, ma monoliti minori) ci si accorge di un vasto circolo di monoliti che si stende, verso ovest e sud ovest, come un anfiteatro scendente dalla vetta. La visione di questo circolo di monoliti è completa (Tav. CCXXVI, fig. 3) scendendo metri verso ovest e sud ovest. Nel vasto semicerchio (di m. 25. circa di raggio, e ben più vasto di diametro) è una vera e per 30-40 propria raccolta (fatta dalla natura, ma ordinata dall’ uomo) di monoliti e di fenomeni naturali nel granito della montagna. Non esito a dire che, a prima vista, non si penserebbe se non ad un fatto naturale, non essendo certo raro il caso di questi elementi in pietra il cui artista è la natura. Ma, esaminando attentamente gli elementi di questo circolo, si f inisce per accorgersi che molti di questi elementi (Tav. CCXXVIICCXXVIII, figg. 4,5,6,7), pur essendo formati dalla natura, hanno ricevuto perfezionamenti e adattamenti dalla mano dell’uomo, sia nella sagomatura ad incastri, sia in particolari ulteriori che l’uomo ha voluto dare a questi elementi naturali nei quali è facile riconoscere figure animali (elefanti, cetacei ecc.) e addirittura figure umane (grandi teste di uomo, corpo di fanciulla, teste di guerrieri elmati ecc.). Non si può sostenere che l’uomo abbia modellato queste figure come tali. E la natura che le ha fantasticamente modellate fino a portarle ad un grado di somiglianza tale da sollecitare l’interesse dell’ uomo a perfezionare i particolari. A vincere ogni scetticismo e a dare al ritrovamento il necessario crisma del documento archeologico, cioè indiscutibilmente umano, ha valso la ricerca di scavo effettuata tutt’ intorno, ma specialmente alla base del circolo (parte inferiore della Tav. CCXXVI, fig. 3). Sotto alcuni massi grandi e piccoli è apparso un terreno nerastro, nel quale ha subito portato attenzione lo scavatore, mettendo in luce notevoli materiali, sia in pietra (una bellissima mola granaria, Tav. CCXXIX, fig. 8), in granito, perfettamente conservata sia nella sua conca di lavoro, sia all’ esterno; un macinello di pietra verde serpentinosa (Tav. CCXXX, fig. 9, n. 1) da accoppiare alla mola granaria), sia, e soprattutto, in ceramica. Questa ultima, rinvenuta assai copiosa anche se, purtroppo, del tutto frammentaria, è prevalentemente di rozzo impasto marrone scuro e di arcioli, pentole e piatti, con prese laterali e decorazioni a striscie riportate su cui serie di intacchi o di pressioni di pollice (Tav. CCXXX, fig. 9, nn. 2, 3, 4, e fig. 10, nn. 1, 2). Tale ceramica è di evidente età tra il bronzo e il ferro, tra il 1000 e l’800 av. Cristo circa, ed è ben nota nell’ ambiente italico sia costiero sia appenninico, dalla grotta delle Arene Candide al Belvedere di Cetona. Accanto a questi frammenti ceramici di età bronzo-ferro, sono apparsi, assai più rari, alcuni frammenti di ceramica di argilla raffinata, a pareti ben più sottili, con anse piatte nastriformi (Tav. CCXXX, fig. 10, nn. 3, 4). che vanno riferiti a piena età del ferro, certo anche dopo il sec. IX-VIII av. Cristo. Non vi può essere il minimo dubbio che il trovamento della ceramica non può staccarsi dal circolo dei monoliti naturali adattati dall’ uomo, e ciò, anzitutto per il fatto che la zona è di montagna impervia, lontana da ogni abitato anche ora; e poi e soprattutto, perché la ceramica e gli oggetti di pietra non si sono presentati in un assieme che possa dare minima parvenza di abitazione, anche rupestre (ben alieno ogni elemento murario), ma bensì in una confusione frammentaria che fa pensare a un deposito, evidentemente votivo, su cui è rovinata la frana dei mussi grandi e piccoli, che, se ha risparmiato i materiali di pietra, ha rotto e frammentato i materiali fittili. Mentre è chiaro, dato il tipo di ceramica (e dato che è la stessa ceramica che lo scrivente nel 1958 e 1959 ha ritrovato mil Monte Giove di Marciana), che si tratta di resti riferibili ai Liguri che abitarono l’Elba, prima dell’ arrivo dei Greci ed Etruschi tra sec. VII e VI a.C., è necessario fare alcune considerazioni sul tipo di giacimento e sulla sua ragione proprio sulla vetta del Monte Cocchero.  Preferisco subito affrontare la spiegazione della ragione per cui per il giacimento, di cui dirò subito dopo, fu scelto il Monte Cocchero. A prima vista può colpire il fatto che questi primitivi abitatori dell’ Elba, se hanno voluto, come dirò, dare al giacimento stesso un carattere votivo-dedicatorio-religioso, abbiano proprio scelto il Monte Cocchero, modesto di altitudine (soli m. 319) e di evidenza, quando è ben noto che i Liguri, adoratori delle vette divinizzate, preferivano le montagne più elevate (i tanti Pen, Penna, Pennino di tutto l’Appennino italico), e quando all’ intorno altre montagne, quali il Monte Barbatoia e il Monte Tambone, si presentavano con maggiore elevazione e maggiore evidenza verso terra e verso mare. A me pare logico pensare che la scelta sia stata fatta proprio perchè questi primitivi elbani preistorici, come avviene a noi, furono colpiti dal fatto che la natura vi aveva accumulato molti elementi casualmente rappresentativi di figure animalesche e umane, e, presi indubbiamente da scrupoli di carattere religioso e magico, pensarono di dedicare, proprio qui, il circolo di megaliti alla divinità della vetta, recandovi devotamente le offerte votive, delle quali noi troviamo traccia nei resti ceramici e litici, dei vasi contenenti offerte e vivande e degli stessi oggetti litici dedicati, come si nota anche nella stipe del Monte Giove di Marciana, ove le offerte furono portate sulla cima della vetta stessa divinizzata, certo il Pen dell’ Elba ligure preromana. Ma i Liguri preistorici elbani devono essere stati portati a dare impronta votiva-dedicatoria-religiosa al circolo naturale del Monte Cocchero da un’ altra considerazione, che ci induce a proporre (sempre lasciando la via aperta ad ogni obiezione) derivante da più approfonditi studi e soprattutto da più larghe ricerche) di mettere in contatto l’Elba dell’ epoca colla vicina Corsica. In Corsica infatti, già nel secolo XIX, ma specialmente in questo nostro secolo, sono stati notati e studiati gli interessantissimi monumenti megalitici, che datano dalla fine del III alla fine del II millenio avanti Cristo, con l’evoluzione di tre epoche, attraverso le quali è chiaro un influsso sulla vicina Sardegna (giustamente sostiene il Grosjean) e certo anche sulla pur vicina Elba (aggiunge lo scrivente). I Liguri elbani preistorici devono aver visto in Corsica questi monumenti megalitici e anche la loro disposizione in circolo, ad es. a Filitosa; devono esserne rimasti assai colpiti, pur essendo le loro divinità non antropomorfe; e devono aver cercato di dedicare qualcosa di simile, nella loro isola, nell’ anfiteatro naturale ovest del Monte Cocchero, Colpisce, in questo senso, la somiglianza tra i monoliti a parallelepipedo del Monte Cocchero (Tav. CCXXV, figg. 1, 2) e quelli di Filitosa (figg. 2, 3, 23, 24 del lavoro del 1960 di R. Grosjean). Gli elbani preistorici devono essere stati trattenuti dal dare, a questi monoliti, precise sembianze (come invece fu fatto, a scopo probabilmente funerario, in Corsica, in ambiente, tra l’altro, che riterrei più celtico che ligure), sia dalla loro assoluta inesperienza artistica, sia, e soprattutto, dallo scrupolo di non dare alla divinità (che per essi era astrattamente la vetta dei monti) o anche solo al defunto (come avveniva in Corsica), precise forme umane. E ciò accontentando, cosí, il loro evidente desiderio di avere qualcosa di simile a quanto visto in Corsica, e insieme lo scrupolo religioso di non variare, almeno per allora, le loro credenze religiose.

[trascrizione a cura di Angelo Mazzei da un testo gentilmente fornito da Silvestre Ferruzzi]

Note, con molti errori di scansione, da rivedere

1) Sono ora in corso importanti ricerche alle ville romane delle Grotte di Portoferraio e del Cavo, con risultati grandiosi, che superano ogni aspettativa, da parte dello scrivente, che quanto prima darà un primo rapporto in merito. Molti rinvenimenti sporadici sono stati fatti, di età greco-etrusca e romana, in tutta l’isola (per l’età greco-etrusca limitatamente alle scorie di lavorazione del ferro), ma prima d’ora nessuna ricerca sistematica era stata iniziata. Procedono, parallelamente a queste prime ricerche anzidette, i lavori dello scrivente per raccogliere, dalle notizie del passato e da esplorazione diretta sul terreno, tutti gli elementi per la carta archeologica dell’ isola.

(2) Alcuni lavori di raccolta di materiali e notizie furono fatti da R. FORESI, Dell’ età della pietra all’ isola d’Elba, Firenze, 1865; Sopra una collezione di oggetti anteistorici trovati nelle isole dell’ arcipelago toscano, Firenze, 1867 e Nota di oggetti preistorici inviati al prof. Luigi Pigorini, Firenze, 1870, e da D. DEL CAMPANA in Rivista di speleologia ed idrologia, VI, 1910, pp. 20 ss., ma soprattutto da A. GORI in Archivio per l’antropologia e l’etnologia, LIV, 1924, pp. 89-116. Per l’età greco-etrusca, si veda V. MELLINI in Bull. paletn. ital., V, 1879, pp. 84-90 e G. Q. GIGLIOLI in Studi Etruschi, II, 1928, pp. 49-54. Per materiali preromani e romani nei musei di Livorno, Ginevra e Reggio Emilia, vedi rispettivamente P. MANTOVANI, Archeologia e numismatica, Livorno, 1892; Annali dell’ Instituto di corrisp. archeol., LVII, 1885, p. 38; Catalogo della Mostra di ori e argenti dell’ Emilia antica, Bologna, 1958, pp. 27, 110, 114.

(3) L’asserzione non è vaga, poichè è ben noto che l’isola d’Elba ha dato materiali a tutte le collezioni mineralogiche di tutto il mondo ed è molto probabile che col materiale mineralogico sia emigrato dall’ isola non poco materiale preistorico, specialmente litico, ma anche metallico. (1) Su questa mia primia ricerca è in cono di pubblicazione un mio scritto in (2) La ricerca è stata grandemente facilitata (direi aperta) dal mecenatismo, intelligente e appassionato per l’archeologia, di persona che non vuole enere nominata, ma alla quale tutti all’Elba guardano come a quella di un pioniere illuminato della valorizzazione dell’isola.

(3) R. SARBARIS, Inumi al del Elke in Rand. Lat. lombarde e lett, LILII. 1919-20 17-18 dell’ estratto, dice che Munte Cocchero significa monte di forma conica (che all’incirca il Cocchero ha) (4) Su questi speciali graniti vedi A. Mani, Sguardo alla groingia dell isola d’Elba in La Prestia di Licorn, genn-febbr. 1960, p. 1 dell’ estratto (1) Roger GROSIRA in Elades or, 1955 & 1958; in Science at auir, déc. 1956 in Gallia, Prehistone 1998; in Rose ansk, 1959: e soprattutto Filiates protohistoriques de la salle de Tara, Paris, 1960. R. GROSJEAN (che ha visto questo circolo del Monte Cocchero in questa stena estate 1960) promette un lavoro sui megaliti corsi in Maner mm. Find Piat, nel 1961, (1) Altri monumenti megalitici sono in via di accertamento all’ isola d’Elba, ai Moncioni del Calle Reciso e nella zona di Ponte e S. Andrea. Il perfezionamento di tali ricerche porterà anche a un più completo lavoro dello scrivente sul megaliti e probabili rapporti colla Corsica.

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