Bronzetto di offerente

UN BRONZETTO DELL’ELBA

Tutti gli studiosi sono concordi sulla manifattura da Populonia di questo bronzetto elbano scoperto nel ‘700 e donato all’ allora titolare di quella parte d’isola, il Re di Napoli.

Catalogato da uno dei miei idoli etruscologici Giovannangelo Camporeale con numero d’inventario 5534 da allora si trova al Museo di Napoli.

Sempre curioso oltremisura, mi sono andato a rileggere un po’ di cosette, alcuni saggi accademici sui bronzi di o da Populonia, le fabbriche di lavorazione del bronzo, l’effettiva giurisdizione sulla zona di Elba scena del ritrovamento.

Le mie conclusioni non hanno importanza qui, volevo condividere con voi la bellezza di questo manufatto e alcune informazioni interessanti.

Se vi capita di avere tempo per studiare la questione sarete in grado di farvi un’idea vostra. Segnalo come imprescindibili il volume “L’Etruria Mineraria” a cura di G. Camporeale, edito da Electa nel 1985 (nelle foto qui sotto la pagina del bronzetto elbano), e il volume “De Re Metallica” a cura di M. Cavallini, edito da L’Erma di Bretschneider nel 2007 (segue un estratto dal saggio sulla produzione metallurgica a Populonia scritto da Chiarantini, Guideri e Benvenuti)

Dicono i tre autori nell’INTRODUZIONE:
“A Populonia, nonostante la prolungata ed intensa attività metallurgica qui espletata in epoca etrusca e successiva, rimangono scarsissime testimonianze delle strutture utilizzate per i processi metallurgici. Non è un caso, infatti, che la storia della scoperta dell’antica città di Populonia sia legata in modo significativo al recupero delle scorie di ferro di epoca etrusca e romana accumulatesi nel corso dei secoli lungo la piana del sottostante golfo di Baratti, seppellendo le necropoli etrusche. L’attività di sfruttamento delle antiche scorie metallurgiche ha profondamente modificato I’originale distribuzione stratigrafica dei reperti, rendendone assai problematica la caratterizzazione tipologica e cronologica.
Se oggi è nota alla stragrande maggioranza degli studiosi l’importanza di questa città, questo lo si deve esclusivamente alla approfondita conoscenza di tali necropoli, frutto di decenni di ricerca archeologica. La vita e in particolar modo l’economia prevalente del territorio di Populonia, da sempre indissolubilmente legata alle risorse minerarie, è invece conosciuta solo dalle fonti scritte e indicata dalla presenza di imponenti cumuli dei resti di lavorazione, che, nonostante l’attività di sfruttamento effettuata nella prima metà del secolo scorso, possono ancora fornire interessanti informazioni sulle antiche tecniche di lavorazione, sulla cronologia e sull’entità di tale produzione, soprattutto se collocati all’interno di una indagine stratigrafica.
Gli studi effettuati negli ultimi dieci anni dal Dipartimento di Scienze
della Terra dell’Università di Firenze in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, e la Società Parchi Val di Cornia S.p.A sono stati finalizzati alla caratterizzazione della produzione di metalli (ferro, rame, stagno) e leghe metalliche (bronzo) in epoca etrusca ed etrusco-romana. Lo studio dettagliato della distribuzione e delle caratteristiche mineralogiche, chimiche e strutturali dei prodotti metallurgici populoniesi (scorie, resti di carica mineraria, manufatti, ecc.) ha sin qui portato alla caratterizzazione di alcune tecniche di produzione impiegate, oltre che della probabile provenienza dei minerali metalliferi impiegati.”

Il saggio continua con deliziose considerazioni su i vari metalli e le scorie di minerale offrendo puntuali riferimenti bibliografici, poi si chiude con un paragrafo dedicato alla
METALLURGIA DEL BRONZO
“Se sono molto scarse le testimonianze della lavorazione del rame, ancora più esigue sono quelle relative alla produzione e/o lavorazione del bronzo a Populonia.
Nonostante sia attestata a livello archeologico una fiorente attività bronzistica (FEDELI 1993) si trovano scarsissime tracce sul territorio di questa attività. Durante le ricognizioni sul territorio populoniese, nella canaletta del Campo Sei prima descritta sono stati trovati due resti della lavorazione del bronzo, che sono stati analizzati in dettaglio (CHIARANTINI 2005). In un primo caso si tratta semplicemente di un frammento di bronzo con tessitura dendritica e con tenori in Stagno intorno al 13 %. Su base strettamente geochimica, non possiamo stabilire se ii bronzo sia o no di produzione locale.
L’assenza infatti di altri elementi in tracce di Zinco non ci consente di ottenere nessun tipo di informazione riguardo la possibile provenienza dei metalli impiegati.
L’altro frammento è costituito da una lega rame-stagno (con Stagno fino al
2% in peso) in cui sono stati individuati numerosi cristalli di Stagno. Si tratta, con ogni probabilità, di una piccola scheggia di bronzo solidificatasi forse al di fuori o sui bordi del crogiuolo durante le operazioni di fusione o colatura del metallo, e quindi ad alte temperature ed in condizioni fortemente ossidanti. Trattandosi quindi di un prodotto metallurgico di scarto è del tutto plausibile che rappresenti un residuo di produzione locale piuttosto che di materiale di importazione.
La composizione isotopica del piombo misurata in questo frammento non consente di assegnare in modo univoco e sufficientemente preciso la provenienza della materia prima: a parte l’ovvia considerazione che, trattandosi di lega perlomeno binaria, in teoria potremmo avere diverse aree sorgente per i diversi metalli, va considerata l’eventualità che, per la preparazione e lavorazione della lega bronzea, siano stati riciclati degli oggetti usurati o in disuso.
In conclusione, benché i materiali ritrovati al Campo Sei non siano chiaramente inquadrabili in un contesto archeo-stratigrafico hen preciso, l’abbondanza di reperti metallurgici all’intemo della canaletta (scorie, resti di forni etc… ) con particolare incidenza di oggetti metallici, sembrerebbe confessare la vocazione produttiva/lavorativa (lavorazione del rame e/o del bronzo) di questa zona di Baratti, in accordo con altre evidenze archeologiche relative all’antico impianto urbanistico di Populonia. La zona si trovava infatti subito al di fuori della cerchia muraria che circondava l’acropoli e sembra costituire, insieme con la zona del Poggio della Porcareccia, un’ “area industriale” ben strutturata e di elevato valore architettonico rispetto ad altre aree produttive etrusche finora investigate (cfr. CORRETTI 2001). II futuro prosieguo delle indagini consentirà auspicabilmente di chiarire I’entità e I’organizzazione delle attivita produttive svolte in questa zona.”

Trovo interessante questo brano, e continueró a studiare tutta la bibliografia (vedi C. A. L. in foto 2) per capire meglio come tutti siano più o meno arrivati alla conclusione che il Bronzetto d’Offerente sia stato prodotto non all’Elba, e non in una città etrusca che non fosse Populonia.

Concludo ricordando ai meno esperti quali sono gli elementi che stimolano questa mia ricerca. Che Vetulonia, Vulci e Volterra avevano una ricca tradizione di lavorazione del bronzo; che all’Elba sono stati trovati reperti e testimonianze di molte città d’Etruria, ivi comprese le tre appena citate; che all’Elba sono stati trovati oggetti in bronzo databili già almeno dal IX secolo in poi, anche in aree con ceramiche da Tuscania, Tarquinia, Cerveteri ed Etruria Campana. Infine, che dal saggio appena citato non v’è certezza matematica che a Populonia si sia mai prodotto Bronzo.

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