Abbiamo parlato altrove in molte occasioni della residenza all’Elba di Publius Acilius Attianus, prefetto prettore e infine senatore romano, figura prominente nei destini dell’Impero e dei suoi protagonisti andalusi Traiano ed Adriano. Oggi parleremo di un’anfora da Chiessi.
Le Anfore Saentames di Chiessi Rielaborazione da scritti di Daniela Rossi e Michelangelo Zecchini
Nelle acque di Chiessi, a soli 500 metri dalla costa, giace il relitto di una nave oneraria scoperto nell’ottobre 1967. Grazie all’operato dei subacquei del circolo Teseo Tesei di Portoferraio e ai sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza, è stato possibile recuperare una significativa parte del carico, preservando così un tesoro di inestimabile valore storico. Questo relitto rappresenta un affascinante viaggio dalla Betica, l’attuale regione dell’Andalusia in Spagna da dove provennero nella stessa epoca Traiano, Adriano e, soprattutto, Publio Acilio Attiano. Il relitto di Chiessi offre preziose informazioni sulla produzione e il commercio delle anfore di tipo Dressel 20 a marchio “SAENTAMES”.




Sono essenzialmente Michelangelo Zecchini, Gino Brambilla e Daniela Rossi, a fornirci queste informazioni.
Il carico recuperato dal relitto di Chiessi era composto principalmente da anfore di produzione ispanica, appartenenti a quattro forme diverse: Pélichet 46, Beltrán II B, Dressel 20 e Vindonissa 583. La forma più comune tra queste era la Pélichet 46, conosciuta anche come Beltrán II A o Dressel 38/39. Queste anfore erano utilizzate per il trasporto di garum, un difgusissimo condimento a base di pesce, come confermato dalle abbondanti tracce di spine e vertebre di pesce rinvenute all’interno di alcune di esse.


Le anfore Beltrán II B erano simili nella struttura alle Pélichet 46 e venivano anch’esse impiegate per il trasporto di garum e salse simili. Queste anfore, prodotte con argilla omogenea variante dal beige-rosato al grigio-verdastro, conservavano all’interno tracce del rivestimento di resina.
Particolare interesse suscitano le anfore di forma Dressel 20, realizzate in un’argilla grigiastra e piuttosto friabile. Una di queste anfore presenta il bollo “SAENTAMES” su un’ansa, che collega questa produzione alla regione di Hispalis, nella Betica. Questo bollo è associato a un nome personale, probabilmente quello del commerciante, ma non è ancora chiara l’origine precisa del nome “Saentames”, anche se si puó presumere ad un produttore di origine etrusca, dato il nome Saenius. Ritrovamenti simili di anfore con bolli SAEN sono stati segnalati in varie parti dell’antico mondo romano, inclusi Roma, Provenza e lungo il corso del Rodano.
Le anfore Vindonissa 583, anche conosciute come Haltern 70 Camulodunum 185, rappresentano un altro gruppo interessante. Queste anfore presentano un’imboccatura con alto labbro svasato, un ventre ovoide con puntale separato dal corpo e anse a nastro ingrossato con solcatura longitudinale. L’argilla varia dal rosato al rossastro ed è relativamente fine. La produzione di questa forma è stata datata al I secolo d.C., ed è stata probabilmente associata alla Spagna meridionale, sebbene il contenuto preciso rimanga incerto, con ipotesi che suggeriscono garum, olio o olive.
Il relitto di Chiessi offre un affascinante scorcio sul mondo antico della Betica, evidenziando l’importanza del commercio delle anfore e delle loro preziose merci nell’Impero Romano. Le anfore Saentames sono testimonianze preziose di questa attività economica e commerciale, e la presenza del bollo “SAENTAMES” su un’ansa ci fornisce un legame diretto con la regione andalusa.
A bordo furono trovati anche frammenti di ceramica da mensa, uno dei quali riportante il bollo “MOM”.


Troppo spesso abbiamo una visione ristretta del mondo antico, ma questi reperti ci aprono la mente sulla complessità delle rotte commerciali e sulle relazioni tra le diverse regioni dell’Impero Romano e in tempi ad esso anteriori, dimostrando ancora una volta quanto sia ricco di storia e cultura il mare della nostra isola.
L’anfora Dressel 20 con bollo SÆNTAMES è esposta fuori vetrina in Sala IV presso il Museo Archeologico di Marciana.
