
L’Elasmotherium, con la sua stazza imponente e un corno di dimensioni notevoli, ha sempre attirato l’interesse sia degli scienziati che degli appassionati di storia naturale. I fossili dell’Elasmotherium stimolano ovviamente disquisizioni su una possibile correlazione tra questa creatura preistorica e il mito dell’unicorno, analogamente a come accade per altri reperti, come il sigillo dell’Unicorno da Harappa. Fase Periodo 3B di Harappa.

Il Periodo 3B di Harappa è generalmente datato tra il 2200 e il 1900 a.C., anche se le date esatte possono variare a seconda delle fonti e delle metodologie di datazione. Questo periodo è associato alla fase matura della civiltà della Valle dell’Indo, un’epoca in cui le città come Harappa e Mohenjo-Daro raggiunsero il loro apice in termini di sviluppo urbanistico, tecnologico e culturale. Durante questo periodo, la civiltà era altamente organizzata e presentava avanzati sistemi di drenaggio, architettura e artigianato, compresi i sigilli intricati, come il sigillo dell’Unicorno proveniente da Trench 37.
Nell’immaginario collettivo, il viaggio di un esploratore medievale come Marco Polo attraverso le steppe asiatiche diventa emblematico. Marco Polo, sentendo dalla gente del posto raccontare di una creatura gigante con un solo corno, trova conferme alle leggende europee sull’unicorno. Al suo ritorno in Europa, la sua storia viene accolta come una sorta di verificazione empirica delle narrazioni mitiche esistenti.
Durante il Medioevo, il fascino e il mistero che circondavano l’unicorno lo resero un argomento di grande interesse, tanto che venne associato a virtù come la purezza e la guarigione. Non sorprende quindi che le “corna di unicorno” fossero considerate oggetti di grande valore, credute capaci di neutralizzare i veleni e di avere altri poteri curativi. In questo contesto, alcuni mercanti intraprendenti videro un’opportunità di profitto.

I denti di narvalo, che in realtà sono lunghi canini a spirale che possono raggiungere lunghezze fino a 3 metri, erano spesso venduti come “vere” corna di unicorno. Questi mercanti impostori capitalizzavano sull’ignoranza e sulla credulità delle persone, vendendo i denti di narvalo a prezzi esorbitanti. Era comune che questi oggetti fossero acquistati da re, nobili e istituzioni religiose, che li conservavano come reliquie preziose o li utilizzavano in cerimonie elaborate.
L’aura di mistero che circondava le “corne di unicorno” contribuì a mantenere questa truffa in vita per molti secoli. Solo con l’avanzare delle conoscenze scientifiche e nautiche, che permisero una comprensione più accurata dei narvali e del loro habitat, si iniziò a svelare la verità dietro queste presunte corne di unicorno.
Recentemente un team di ricercatori statunitensi, canadesi e danesi ha scoperto che il lungo corno sembra aver davvero qualcosa di “magico”. Nello studio, “Sensory ability in the narwhal tooth organ system”, pubblicato su The Anatomical Record, i ricercatori hanno rivelato che il narvalo, grazie al suo lungo dente, sarebbe in grado di rilevare cambiamenti dei parametri fisici nell’ambiente. Il “corno” è infatti fittamente innervato ed i narvali sarebbero in grado di percepire le variazioni delle temperature e di salinità dell’acqua.

Nel corso dei secoli, lo sviluppo delle ricerche archeologiche e paleontologiche aggiunge nuove sfaccettature al dibattito. Ad esempio, mentre i fossili dell’Elasmotherium venivano scoperti, gli archeologi continuavano a indagare reperti come il sigillo dell’Unicorno di Harappa, che potrebbe fornire ulteriori indizi sull’origine di questi miti.

Gli studiosi iniziano a considerare seriamente la possibilità che il mito dell’unicorno sia un riflesso distorto di realtà biologiche e archeologiche, come l’Elasmotherium o i sigilli della Valle dell’Indo. In questo contesto, l’Elasmotherium assume un ruolo di collegamento tra la ricerca scientifica e la mitologia, servendo come un esempio vivente di come realtà storiche e leggende possano intrecciarsi in un dialogo costante e affascinante.
