Scritti sugli scacchi

Gioca all’inizio come fosse un libro, la parte centrale come tu fossi un mago, e il finale come una macchina.

[Rudolph Spielmann]


2 aprile 2020

Dice Hannah Arendt che quando noi siamo soli in realtà possiamo non esserlo se riusciamo ad imbastire un discorso nel pensiero, un dialogo con se stessi.
Quando siamo soli abbiamo un’opportunità unica, che è quella di sdoppiarsi (riflettere è proprio uno sdoppiamento, come nello specchio uno si fa doppio). Nella riflessione noi attuiamo la schizofrenia come virtù; operiamo con lo stesso schema della scissione dell’io, ma lo facciamo senza patologia.

Oggi, su Philosophie Magazine, riportavano proprio quel testo della filosofa tedesca e americana di adozione, dove parla della solutudine come opportunità.

Come è ovvio tutti i temi che riguardano la quarantena o il confinamento, sono stati trattati dai grandi pensatori del passato. In generale è più facile trovare idee adeguate a questo momento in Lucrezio o Seneca, che non in qualcosa di scritto oggi.

Ecco cosa ci danno quelli che Eco chiamava i Classici, ci danno l’eventualità di uno sdoppiamento egotico, una riflessione maieutica, un confronto tra sé e il mondo e tra sé e sé.

Con questo non vogliamo dire che bisogna dedicarsi a leggere Sofocle ed Erodoto ed ignorare tutto quello che c’è di troppo autoreferente nel presente.

Leggiamo anzi con attenzione i post e i messaggi dei nostri amici e contatti. Leggiamo riviste di cronaca e scientifiche, italiane e straniere. Lo sdoppiamento infatti per funzionare ha bisogno che con un occhio si legga il prossimo e con l’altro il remoto; con uno il passato e con l’altro il presente.

Yseult Rontard scrive che questo periodo le ha dato la possibilità di osservare più attentamente il proprio ombelico. Ha scoperto che oggi lo vede con occhi diversi. La bellezza dell’ombelico non è più un sentimento narcisistico, ma la presa d’atto della propria finitudine. L’ombelico ci determina in quanto traccia della nostra origine. Ci unisce come un marchio comune a tutta l’umanità. Infine, come un tappo, ci segnala la nostra apertura chiusa, il nostro limite spaziale. La finitezza umana.

Un altro aspetto molto interessante della quarantena è il confronto con l’eremo e il suo asceta. Questo raccogliersi in isolamento ci porta a chiedercene il significato più nobile. La reclusione in solitudine ci puó aiutare a considerarci come asceti e vedere la nostra casa come un eremo.

Potremmo comiciare col farci delle domande:
Chi erano gli eremiti e perché lo facevano? Che gusto c’è a stare da soli? La vita ascetica è ancora praticabile, e soprattutto, auspicabile ?

Se il modo di vivere a distanza senza contatti finirà presto o tardi o “mai” non possiamo dirlo. Possiamo dire peró che un ottimista dovrebbe riflettere su questa pagina di diario.

In certi casi (come il nostro) interpretare la solitudine come un’opportunità invece che come una disgrazia é l’escamotage migliore per superare questa drammatica transizione epocale.

Oggi un giovane amico mi ha raccontato di aver sognato che giocava a scacchi col Papa. Su Youtube manco a farlo a posta c’è il Settimo Sigillo di Ingmar Bergmann in versione originale svedese coi sottotitoli in inglese. É stata la mia attività di sport estremo di oggi guardarlo tutto. In quei momenti ho pensato che mi avrebbe fatto comodo essere rimasto amico con la mia ex svedese che insegna Epidemiologia all’università di Stoccolma.

Un mio vecchio amico oggi ha postato una bella citazione di Wittgenstein sulla parola paragonata a un pezzo degli scacchi. Mi ha ricordato che Wittgenstein adorava gli scacchi e li usava frequentemente come metafora nelle sue ricerche sul linguaggio.
Avvalendomi del supporto della ricerca per parola sono andato a ricercare “scacchi” nei suoi testi e ho trovato alcune ricorrenze che riporto di seguito:

1} Quando uno mostra a qualcuno il re e dice: “Questo è il re”, questo non gli dice nulla sull’uso di questo pezzo, a meno che non conosca già le regole del gioco fino a quest’ultimo dato: la forma del re. Si può immaginare che abbia imparato le regole del gioco senza che gli sia mai stato mostrato il pezzo vero e proprio.

2} Parole e pezzi degli scacchi sono analoghi; saper usare una parola è come saper muovere un pezzo degli scacchi

3} Confronta come la parola “falso” entra in modo diverso nel gioco dove al bambino viene insegnato a gridare “rosso” quando appare il rosso e il gioco in cui deve indovinare il tempo, supponendo ora che usiamo la parola “falso” nelle seguenti circostanze: quando grida “verde” quando appare qualcosa di rosso e quando fa un’ipotesi sbagliata sul tempo. Nel primo caso il bambino non si è impadronito del gioco, ha violato le regole; nel secondo ha sbagliato. I due casi sono come giocare a scacchi violando le regole o giocare per perdere

4} Conoscere l’uso di un segno non è un certo stato che dura un certo tempo. (Se diciamo che saper giocare a scacchi è un certo stato d’animo, dobbiamo dire che è uno stato ipotetico.)

5} Potrei dire che gli scacchi non sarebbero mai stati inventati a parte la scacchiera, le figure, ecc. e forse a parte il collegamento con le truppe in battaglia. Nessuno si sarebbe sognato di inventare il gioco come si gioca con carta e matita, attraverso la descrizione delle mosse, senza tavola e pezzi. Tuttavia il gioco potrebbe essere giocato in entrambi i modi. È lo stesso con la matematica

6} Parole e pezzi degli scacchi sono analoghi; saper usare una parola è come saper muovere un pezzo degli scacchi. Ora come entrano le regole nel gioco? Qual è la differenza tra giocare e spostare i pezzi senza meta? Non nego che ci sia una differenza, ma voglio dire che sapere come deve essere usato un pezzo non è uno stato d’animo particolare che va avanti mentre il gioco va avanti. Il significato di una parola deve essere definito dalle regole per il suo utilizzo, non dal sentimento che si attribuisce alle parole.

“SCACCHI” EGIZI

L’altro giorno cercavo notizie sul significato archetipico della scacchiera. Alcuni amici sardi ne discutevano a proposito di motivi dipinti su ceramiche di III e II millennio. Ho notato che sia in Italia che all’estero ci sono moltissimi autori che hanno scritto voluminosi testi su storia degli scacchi e simbologia della scacchiera. Tutti, almeno quelli che ho potuto sfogliare e leggiucchiare qua e là, rimandano all’India, all’esercito schierato, al numero 64, alle varie etimologie persiane ed arabe (SCHACH MAT per esempio).

Lo spirito, – ovvero il pensiero del mondo che mi attraversa ed usa la mia mente per tradursi in linguaggio ed entrare nel mondo dei numeri e delle parole, così come fa con la vostra – mi ha fatto aprire il secondo volume dell’enciclopedia dell’antico Egitto che si apre con la lettera “G” alla voce “Games” e…

Magia, ecco la “scacchiera” egizia, il gioco del Senet. Qui in una foto del reperto esposto al Metropolitan Museum, con la parte in legno ricostruita, trovato in una tomba di Abydos, epoca di Thutmose (XVIII Dinastia, XIV-XIII secolo circa), in vista il gioco a 30 caselle, sotto quello a 20. Nell’altra foto invece la Faraona (la chiamano regina loro) Nefertari, mentre gioca.

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