Omero, appendice


NIETZSCHE E IL LEGAME MATERIALE
Per capire di cosa stiamo parlando quando parliamo del problema “Omero” dobbiamo distinguere la “persona” dall’ “immagine”. Avere presente la differenza tra un concetto come l’opera eccetto l’uomo – da una parte, e l’uomo eccetto le sue opere – dall’altra.
L’opera è un insieme di testi più o meno attribuibili e/o già attribuiti a tale “Omero”.
L’uomo è un signore di cui si sa poco a parte della malattia che lo rese cieco. Della sua vita ci sono molte versioni. Che si presume sia nato a Smyrna nella Ionia, o sull’Isola di Chio lì di fronte, o sempre sulla costa più a sud a Colophon; anche se qualcuno ebbe a dire che fosse venuto da lontano, dalla Cefalonia, e da ancora più lontano, fronte Ionio, dall’isoletta di Itaca. Mentre l’illustre Eraclide Pontico (celebre viceRettore della Scuola di Atene personalmente scelto dal Maestro Platone a fargli da supplente quando il Celeberrimo doveva recarsi in Sicilia) scrisse addirittura che TESTATUR HOMERUS SE EX TYRRHENIA, era provato che Omero provenisse all’Etruria.
Per definire che cosa è l’opera dobbiamo prima spiegare che cosa la rende tale. Uno dei criteri per chiamare ‘opera’ un insieme di testi è la misura della loro fama. La fama è qualcosa di diverso dalla conoscenza. La fama prevede una conoscenza mediata: quello che noi sappiamo degli uni per sentito dire da altri. Mentre solo nella conoscenza immediata noi abbiamo a che fare con gli uni senza avere a che fare con una ‘immagine’ che di loro si sono fatti gli altri.
L’opera – che chiamiamo “omerica” – è quanto ci arriva dopo la mediazione della persona di “Omero” nella sua assoluta assenza umana.
L’uomo – e la sua personalità, rimangono a debita distanza ontologica dal concetto che ce ne siamo fatti.
Non c’è nessun legame materiale che leghi le due cose. Ma Nietzsche porta l’esempio dell’interazione tra le forze di gravità di due corpi celesti quando si avvicinano: non c’è legame materiale ma c’è comunque un legame, sia pur di un altro tipo.
È sulla “visione di questo legame invisibile” che siamo invitati a far muovere il pensiero coi suoi bagagli di interrogativi. Ed è con questo viaggio tra le gravità di un uomo e della “sua” opera che apriamo il nostro orizzonte a nuovi spazi che alberghino il concetto che il Pensiero ha di se stesso dalle sue origini – nelle sue origini. Da una parte rischiamo di mitizzare, dall’altra però sta il pericolo dell’iconoclastia. Ma in ogni distruzione, vada come vada, sta un’ulteriore costruzione a rinascere dalle sue ceneri. Così sarebbe di certo qualora percorressimo la strada dei detrattori di Omero. Nel distruggere il Poeta ci ritroveremmo tra le mani – non le sue ceneri ma – un’antica tradizione orale di canti popolari, a lui, chiunque egli sia stato, di molto precedente.
Alla fine, tolto di mezzo Omero e l’ingombro della sua persona, fuori dalle interferenze gravitazionali, ci ritroveremmo un orizzonte filologico del tutto nuovo ed inesplorato. In questo mondo senza testi, prefilologico, andremo in cerca di quelle forze (stavolta sì) dai legami assolutamente immateriali. E allora capiremo perché l’autore di queste righe stia tentando di infilare nello stesso testo/contesto il preomerico e il legame immateriale che la fisica quantistica chiama ENTANGLEMENT.


PARTE SECONDA: IL POPOLO E L’INDIVIDUO
Nietzsche sostiene che – seppur L’ILIADE e L’ODISSEA debbano essere necessariamente state scritte ciascuna da un’unica penna – non significa che l’autore di queste opere sia Omero. Dopo aver mostrato come di certo non sia possibile che queste opere siano state scritte da una “massa popolare” ma bensì da un singolo individuo, afferma che il nome di Omero non si lega ad un piano perfetto all’origine dell’opera. “Noi crediamo che ci sia un unico grande poeta dell’ILIADE e dell’ODISSEA – MA NON CHE QUESTO POETA SIA OMERO” scrive Nietzsche in OMERO E LA FILOLOGIA CLASSICA nel 1869.

PHILOSOPHIA FACTA EST QUAE PHILOLOGIA FUIT
“..che ogni attività filologica dev’essere racchiusa e circondata da una visione filosofica del mondo..”
“..daß alle und jede philologische Tätigkeit umschlossen und eingehegt sein soll von einer philosophischen Weltanschauung.. “

Il passo successivo – una volta messo tutto nel grande calderone dipinto dalla nostra WELTANSCHAUUNG – sarà quello di ricercare le weltanschauung delle epoche di Omero. Epoche plurali, 1) quella di Pisistrato, 2) quella precedente, di ILIADE ed ODISSEA per la prima volta scritte in alfabeto di derivazione fenicia, 3) quella lunga di una probabile tradizione orale e infine 4) quella dei fatti ivi narrati.
In una operazione che definirei “metafilologica”, ricostruire le relazioni tra gli elementi differenti tra queste quattro epoche e a questo schema adeguare una visione filosofica dell’insieme identitario delle diverse culture. Alla fine dovremmo ritrovarci tra le mani qualcosa di molto simile a quattro differenti paradigmi, dei quali ciascuno è indispensabile per capire – non tanto CHI o COSA sia stato Omero, ma l’ANIMA DEI POPOLI di quei mondi.

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ULISSE, CIRCE E AIAIA (Eea)

Se è vero che Omero in Odissea Libro X 195-7 dice che “(Aiaia) è un’isola incoronata dal mare aperto, di per sé bassa, e che tra il fitto bosco di lecci e la macchia coi miei occhi ho scorto in mezzo un fumo levarsi.”
ΝΗ͂ΣΟΝ, ΤῊΝ ΠΈΡΙ ΠΌΝΤΟΣ ἈΠΕΊΡΙΤΟΣ ἘΣΤΕΦΆΝΩΤΑΙ:
ΑΥ̓ΤῊ ΔῈ ΧΘΑΜΑΛῊ ΚΕΙ͂ΤΑΙ: ΚΑΠΝῸΝ Δ᾽ ἘΝῚ ΜΈΣΣΗΙ
ἜΔΡΑΚΟΝ ὈΦΘΑΛΜΟΙ͂ΣΙ ΔΙᾺ ΔΡΥΜᾺ ΠΥΚΝᾺ ΚΑῚ ὝΛΗΝ.

È vero che definisce pure ‘bassa’, ΧΘΑΜΑΛῊ (Chthamalí), Ithaca nel libro precedente (IX, 25), che pure raggiunge l’altezza di 806 metri col suo Monte Nerito.
Quindi, contrariamente a quanto s’ebbe a ipotizzare con Angela G., il sospetto che Pianosa sia la principale candidata in quanto ‘bassa’ decade, perché se Ithaca è ‘bassa’ coi suoi 800 metri potrebbe essere bassa pure l’Elba coi suoi 1000 e passa metri.
Inoltre è più facile immaginare un bosco di querce/lecci sull’Elba che non su Pianosa.
Da non dimenticare Apollonio Rodio che fa sbarcare all’Elba gli Argonauti in cerca di Circe, e i “meandri delle isole sacre” di Esiodo, tutti mi pare più indicativi di un’isola abbastanza grande da avere dei “meandri” ΜΥΧΏ

Esiodo frammento 390 edizione Merkelbach and West

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Anche nel Nuovo Testamento c’è un passaggio simile a quello di Omero (*1) che amo citare sul trattare bene gli estranei.

È nel §13 della Lettera agli Ebrei (50-175 d.C. ca), e dice:

1 Che l’amore fraterno per gli estranei resti saldo. 2 Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli.

[…] ΤΗ͂Σ ΦΙΛΟΞΕΝΊΑΣ ΜῊ ἘΠΙΛΑΝΘΆΝΕΣΘΕ· [2] ΔΙᾺ ΤΑΎΤΗΣ ΓᾺΡ ἜΛΑΘΌΝ ΤΙΝΕΣ ΞΕΝΊΣΑΝΤΕΣ ἈΓΓΈΛΟΥΣ


*1. Odissea (1000-775 a.C. ca), XVII 485-7

E gli Dei, come stranieri da paesi lontani, nelle più disparate forme, girano per le città, meditando sulla prepotenza e sulla giustizia degli uomini.

ΚΑΙ ΤΕ ΘΕΟΙ ΞΕΙΝΟΙΣΙΝ ΕΟΙΚΟΤΕΣ ΑΛΛΟΔΑΠΟΙΣΙ ΠΑΝΤΟΙΟΙ ΤΕΛΕΘΟΝΤΕΣ ΕΠΙΣΤΡΩΦΩΣΙ ΠΟΛΗΑΣ, ΑΝΘΡΩΠΩΝ ΥΒΡΙΝ ΤΕ ΚΑΙ ΕΥΝΟΜΙΗΝ ΕΣΟΡΩΝΤΕΣ

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